Mancano pochi giorni alla serata del 21 Marzo 2019 in cui presenteremo “Una donna sola”, spettacolo teatrale più dibattito sul tema della violenza domestica, presso il Centro Clinico di Verona.
Nella passata serata intitolata “Dalla Rabbia alla Violenza. Manifestazioni sane e patologiche nelle relazioni interpersonali” è stato introdotto il tema della violenza domestica che, nello spettacolo che andiamo a proporvi, offrirà un nuovo punto di vista, quello della vittima, di cui poi potremo discutere tutti insieme.
Nel frattempo, per farvi capire quale può essere il tipo di escalation che porta dalla rabbia alla violenza, vi proponiamo lo spezzone di un film in cui si evidenzia la violenza verbale, quella psicologica, quella fisica e quella assistita che sono stati descritti nel precedente post. Il video è in lingua spagnola ma basta osservare le espressioni facciali e i comportamenti degli interpreti per comprendere gli stati mentali. E’ un video di forte impatto emotivo ma molto chiarificatore. Buona visione e vi aspettiamo Giovedì per una rappresentazione altrettanto emozionante!
In attesa
della serata del 21 Marzo 2019 in cui presenterò “Una donna sola”, spettacolo
teatrale più dibattito sul tema della violenza domestica, presso il Centro
Clinico di Verona, vi riassumo gli argomenti principali della passata serata
introduttiva intitolata “Dalla Rabbia alla Violenza. Manifestazioni sane e
patologiche nelle relazioni interpersonali”. Oggi riassumiamo l’intervento della dr.ssa Francesca Gamba che ha spiegato
che cos’è la violenza in tutte le sue declinazioni.
Il termine
violenza significa violare, infrangere, calpestare, abusare, costringere, prevaricare, maltrattare e deriva dal termine latino “violentus”, colui che usa in modo irrazionale la forza al fine di imporre
la propria volontà e costringere alla sottomissione. Nell’ambito del diritto è stabilito che chi commette
violenza sfrutta spesso un’asimmetria di potere e diventa carnefice nei
confronti di una vittima.
Sono stati identificati diversi tipi di violenza
che andiamo a definire nello specifico:
Violenza verbale/psicologica = è un insieme di atti, parole o sevizie morali, accuse, offese, critiche, minacce e intimidazioni utilizzati come strumento di costrizione e di oppressione per obbligare gli altri ad agire contro la propria volontà;
Violenza fisica = tutti i maltrattamenti fisici esercitati con atti di forza materiale su un’altra persona come spintonare, costringere nei movimenti, sovrastare fisicamente, rompere oggetti come forma di intimidazione, sputare contro, dare pizzicotti, mordere, tirare i capelli, gettare dalle scale, cazzottare, calciare, picchiare, schiaffeggiare, bruciare con le sigarette, privare di cure mediche, privare del sonno, sequestrare, impedire di uscire o di fuggire, strangolare, pugnalare, uccidere;
Violenza sessuale = è un atto commesso da chi usa in modo illecito la propria forza, la propria autorità o un mezzo di sopraffazione per costringere altri con prevaricazione o minaccia (esplicita o implicita) a compiere o a subire atti sessuali contro la propria volontà;
Violenza economica = comprende forme di controllo economico come il sottrarre o impedire l’accesso al denaro ad altre risorse basilari, sabotare il lavoro dell’altro, impedire opportunità educative o abitative, costringere in una situazione di dipendenza o far sì che l’altro non abbia i mezzi economici per soddisfare i propri bisogni di sussistenza e quelli dei figli. Tali strategie privano della possibilità di decidere autonomamente e rappresentano uno degli ostacoli maggiori nel momento in cui ci si sente pronti per uscire dalla situazione di maltrattamento.
Violenza collettiva = violenza sociale, politica e/o economica commessa da gruppi ampi di individui o da interi stati con lo scopo di portare avanti particolari istanze sociali. Include, ad esempio, crimini dettati dall’odio compiuti da gruppi organizzati, atti terroristici, mobbing, guerra e conflitti violenti a essa collegati, interruzione dell’attività economica e divieto di accesso ai servizi essenziali;
Violenza assistita = esperienza vissuta da un minore di una qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulti e minori.
La violenza, di qualsiasi tipo essa sia, ha un
alto potenziale traumatico con effetti duraturi e profondi. Vediamo quali:
svariati sintomi
psicopatologici che si possono spesso inquadrare nel disturbo post-traumatico
da stress, gravi amnesie e disturbi dissociativi;
problemi di sviluppo
cognitivo e psicomotorio nei bambini;
alta frequenza, durata
e intensità di emozioni spiacevoli come la vergogna, il senso di colpa (vittime
di abuso sessuale) e l’ansia;
sensazione di avere la
mente invasa per cui il mondo viene letto e interpretato attraverso gli occhi
del carnefice e non più secondo il proprio personale punto di vista;
problemi legati al
sonno, all’alimentazione e alla sessualità;
isolamento sociale e
problemi di socializzazione;
ferita dell’autostima
e diffidenza.
Ci teniamo infine a
dare un resoconto delle numerose conseguenze negative a cui possono essere
esposti i minori in caso di violenza assistita. Alcuni esempi sono:
esposizione all’irritabilità dei
genitori;
uso del minore a scopo di
auto-protezione;
pratiche educative confusive;
esposizione allo stress genitoriale;
apprendimento di modelli relazionali
abusivi;
negazione degli effetti e/o legittimazione
della violenza;
inversione dei ruoli secondo cui il
bambino assume il ruolo di partner o di genitore dei suoi genitori;
trascuratezza fisica ed emotiva;
isolamento sociale ed emozioni di
vergogna o colpa per dover custodire il segreto su ciò che accade.
In attesa della serata del 21 Marzo 2019 in cui presenterò “Una donna sola”, spettacolo teatrale più dibattito sul tema della violenza domestica, presso il Centro Clinico di Verona, vi riassumo gli argomenti principali della passata serata introduttiva intitolata “Dalla Rabbia alla Violenza. Manifestazioni sane e patologiche nelle relazioni interpersonali”. Oggi riassumiamo l’intervento della dr.ssa Francesca Gamba che ha spiegato che cos’è l’aggressività in tutti i suoi aspetti peculiari.
Il termine aggressività deriva dal latino “adgredior” che racchiude molteplici significati come avvicinarsi, assalire, accusare, intraprendere, incominciare. Da allora in poi il termine aggressività ha sempre compreso sia connotazioni molto negative a quelle positive come l’autoaffermazione, la vitalità e il successo. Filosofia, psicologia e criminologia dibattono da sempre sul concetto di aggressività e spesso si basano su impostazioni teoriche-posizioni discordanti nel definirla tanto è vero che sono state definite due distinte forme di aggressività:
AGGRESSIVITÀ OSTILE E STRUMENTALE
AGGRESSIVITÀ COME ATTEGGIAMENTO INTRAPSICHICO E COMPORTAMENTO AGGRESSIVO
Altri criteri che sono stati dibattuti nel definire l’aggressività sono:
Intenzionalità
o accidentalità
Presenza o
meno di conseguenze dolorose sulla vittima
Volontà o
meno di sottomettere e di predominare
Aggressività fisica e/o verbale
Aggressività diretta e/o indiretta
L’aggressività può inoltre essere presente a
livelli di intensità e gravità diversi in:
Una reazione aggressiva
Una azione aggressiva
Una attività aggressiva
Il contesto socioculturale può influire sulla definizione di aggressività, tanto è vero che in alcuni contesti è percepita come un elemento di successo da valorizzare ed è per questo accettata, mentre in altri contesti è del tutto contrastata e inibita.
Vi sono visioni e opinioni diverse anche rispetto alle cause dell’aggressività. Secondo gli approcci disposizionali l’aggressività è vista come un istinto naturale, primario, necessario al soddisfacimento dei bisogni primari e con una funzione evolutiva e regolatrice. Secondo gli approcci situazionisti le cause dell’aggressività hanno a che fare con l’ambiente in cui ci si trova a vivere.
Dalle ricerche di neurobiologia sappiamo che le zone del cervello connesse con l’aggressività sono l’Amigdala e la Corteccia prefrontale e che è correlata con certi neurotrasmettitori e ormoni sessuali.
La corteccia orbito frontale sembra essere
correlata con l’aggressività di tipo reattivo-impulsivo mentre l’amigdala
sembra essere correlata con l’aggressività di tipo freddo.
Per concludere la definizione di aggressività possiamo dire che da un punto di vista relazionale il comportamento aggressivo è tipico della persona che tenta di soddisfare unicamente i propri bisogni prevaricando gli altri, che ritiene di essere sempre nel giusto, addossa agli altri la responsabilità dei propri errori ed è irremovibile rispetto alle proprie posizioni. L’obiettivo generale è quello di averla vinta a tutti i costi. Un individuo è aggressivo quando in un contesto di relazione con una o più persone: si impone lasciando poco spazio all’altro; non ammette di aver sbagliato; non è interessato e non rispetta bisogni opinioni, desideri, emozioni dell’altro; è ostile e imprevedibile.
In attesa della serata del 21 Marzo 2019 in cui la dr.ssa Gamba, il dr. Pasetto e la dr.ssa Pinton presenteranno “Una donna sola”, spettacolo teatrale più dibattito sul tema della violenza domestica, presso il Centro Clinico di Verona, vi riassumiamo gli argomenti principali della passata serata introduttiva intitolata “Dalla Rabbia alla Violenza. Manifestazioni sane e patologiche nelle relazioni interpersonali”. Oggi ricapitoliamo cos’è la rabbia e quali sono le sue caratteristiche principali.
Ekman, uno dei più famosi studiosi delle emozioni, inserisce la rabbia tra le emozioni base come la tristezza, la gioia, il disgusto e la paura. Le emozioni base hanno delle caratteristiche: sono innate perché ne troviamo l’espressione anche in bambini appena nati e sono universali perché le possiamo riscontrare in qualsiasi popolazione del mondo e anche in altre specie animali come si evince dagli studi di Darwin.
Come qualsiasi altra emozione, la rabbia è un processo che coinvolge tutto il nostro corpo e che comprende 4 aspetti fondamentali: 1. l’espressione del viso caratterizzata da aggrottamento violento delle sopracciglia, occhi lameggianti, denti scoperti e digrignati oppure labbra strette; 2. le sensazioni corporee come l’accelerazione del battito cardiaco, l’innalzamento della pressione, la tensione muscolare e l’irrequietezza, il calore e la sudorazione; 3. la valutazione cognitiva di un’esperienza secondo la quale una situazione o un evento sono vissuti con un senso di ingiustizia. Quando qualcosa intorno a noi va come non dovrebbe andare o come non ci aspettiamo che vada e/o quando attribuiamo responsabilità e consapevolezza a chi ha causato un danno volontario e ingiustificato allora proviamo rabbia; 4. l’impulso all’azione volto all’attacco o alla difesa. I cambiamenti comportamentali variano da individuo a individuo. Mentre per alcuni è più facile gestire e controllare questo stato emotivo, per cui si possono limitare ad un attività motoria accentuata, voce alta e tono minaccioso, stridulo o sibilante, per altri si può manifestare un discontrollo della rabbia che può sfociare in comportamenti aggressivi e violenti verso cose, verso se stessi e/o verso gli altri.
La rabbia è un processo che segue alcune fasi: inizio, durata e attenuazione. A seconda dell’intensità possiamo inoltre definirla in vari modi: furore, esasperazione quando è alta; rabbia, collera, ira quando è media; irritazione, fastidio, corruccio, impazienza quando è bassa.
Un’altra caratteristica della rabbia è che ha un valore adattivo: ci aiuta a ristabilire il senso di giustizia venuto a mancare. Essa quindi può essere funzionale al benessere e alla sopravvivenza dell’uomo. Un esempio in tal senso può essere la disobbedienza civile di Gandhi. Esistono tuttavia casi in cui la rabbia può invece diventare problematica e disfunzionale perché può portare le persone a pensare in modo irrazionale e a comportarsi in modo rischioso e imprevedibile per se stessi e per chi sta loro vicino. Ciò che troppo spesso succede allo stadio la domenica ne è un esempio. Questo ultimo esempio di comportamenti sono il motivo per cui le espressioni della rabbia sono riprovate nella nostra cultura attuale e si cerca di educare le persone a inibire e controllare la rabbia in funzione di una buona convivenza sociale.
Rassegna “Pillole di psicologia”. La dr.ssa Pinton Michela risponde alle domande del pubblico durante la serata “Ansia e Panico” e spiega per quali motivi è utile affidarsi ad uno psicoterapeuta. Buona visione!
Un altro video della rassegna “Pillole di psicologia”. In questo filmato vi parlerò delle fasi della terapia per l’ansia in età evolutiva e di alcuni strumenti maggiormente utilizzati. Buona visione.
Continuando la rassegna di brevi video dal titolo “Pillole di psicologia”, oggi vi parlerò di quali sono i 4 stili educativi dei genitori che concorrono a mantenere alti livelli di ansia nei propri figli.
Buona visione e se avete domande o pareri da esprimere lasciate pure un vostro commento!
I disturbi d’ansia in età evolutiva sono gli stessi dell’età
adulta: fobie specifiche, disturbo d’ansia sociale, disturbo di panico,
agorafobia. In età evolutiva però si aggiungono anche l’ansia da separazione e
il mutismo selettivo.
In questo video vi parlerò appunto di questi due disturbi e delle loro principali caratteristiche. Buona visione!
Questo è il primo video di una serie intitolata “Pillole” che tratterà
vari argomenti di psicologia. In questo breve filmato vi parlo dei
sintomi dell’ansia in età evolutiva. Buona visione!
Ciao a tutti, qualche giorno fa vi ho chiesto consiglio rispetto ad alcuni temi da trattare nell’ambito di incontri con i genitori e vi ringrazio per le numerose risposte che mi sono arrivate. Dato che, tra i vari argomenti, mi avete proposto questo titolo, “gli effetti traumatici sui figli della separazione tra genitori”, vi propongo la risposta che avevo dato ad una mail di un padre preoccupato per questo motivo, come primo spunto di riflessione sull’argomento. Buona lettura.
“Sono giunto alla conclusione di una separazione con mia moglie ma il mio problema è dirlo ai figli, la più grande ha 10 anni e ha bisogno di una spiegazione. Come devo dirle questo … non so dobbiamo spiegarlo insieme o la prendo in disparte? MI CONSIGLI grazie”
Caro papà, è necessario che parli con i suoi figli con chiarezza e sincerità, nel modo più semplice che può, e spiegando loro la situazione. Se i rapporti con sua moglie lo consentono sarebbe ancora meglio se lo faceste insieme, dimostrando quindi che questa è una decisione che avete concordato insieme. Ricordi che anche se sono bambini vedono, sentono ed hanno emozioni e pensieri esattamente come noi adulti, possono capire molto più di quanto noi immaginiamo ma hanno più bisogno del nostro aiuto per gestire le situazioni difficili. Non complichi quindi la situazione inventando scuse o facendo finta che non stia succedendo niente, anche se pensa di farlo per il loro bene. Presto o tardi la verità salterebbe agli occhi e a quel punto i suoi figli potrebbero sentirsi anche traditi da un papà che non è stato sincero con loro. Se poi comunque emergessero dei problemi di adattamento al nuovo assetto familiare, sappia che può sempre contattarmi. Auguro buona fortuna a lei e ai suoi figli. Dr.ssa Michela Pinton