LETTURA CONSIGLIATA: LA TRAPPOLA DELLA FELICITA’.

Ciao a tutti, come anticipato nei miei post precedenti sono reduce da una formazione sull’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), una delle terapie di terza generazione. L’ho trovata molto interessante e sicuramente molto utile. Continuerò a studiarla e presto comincerò ad applicarla nella mia pratica clinica.

Per introdurre anche a voi lettori questo approccio terapeutico, vorrei consigliare quest’opera divulgativa che è rivolta sia a chi sta facendo un percorso terapeutico, sia a chi semplicemente desidera migliorare il proprio stato interiore. Il libro s’intitola “La trappola della felicità” e l’autore è Russ Harris, uno dei fondatori dell’ACT.

La ricerca della felicità è uno scopo che accomuna tutti gli esseri umani. Steven C. Hayes, psicologo, ha individuato i miti principali sulla felicità (2008). Che cosa è un mito? Dalla definizione del dizionario Treccani: una narrazione di particolari gesta compiute da dei, semidei, eroi e mostri. Il mito può offrire una spiegazione di fenomeni naturali, legittimare pratiche rituali o istituzioni sociali e, più genericamente, rispondere alle grandi domande che gli uomini si pongono. Caratteristica essenziale del mito è che esso si sia diffuso oralmente prima di essere scritto, e che si perpetui nella tradizione di un popolo.

Le principali affermazioni sulla felicità che si sono tramandate per secoli e generazioni sono le seguenti:

  1. La felicità è una condizione naturale di tutti gli esseri umani;
  2. Se non sei felice hai qualcosa che non va;
  3. Per avere una vita migliore dobbiamo sbarazzarci dei sentimenti negativi;
  4. Dovresti essere capace ciò che pensi e ciò che provi.

A questo punto provo a porvi qualche domanda su cui riflettere: “Chi non ha mai pensato qualcuno di questi miti?” Ammettiamolo, chi più e chi meno ci abbiamo creduto tutti e probabilmente ci crediamo ancora.

Ma se abbiamo fondato il nostro modo di vivere su questi miti e invece alla fine risultassero falsi e fuorvianti?

Che succederebbe se ci accorgessimo che tutti i nostri sforzi per raggiungere la felicità ci portassero invece sofferenza?

E se invece di cercare la felicità intesa come “sentirsi bene”, cercassimo di costruirci una vita piena e degna di essere vissuta?

Questo libro ha proprio l’obiettivo di osservare questo argomento da un altro punto di vista e di invitare i lettori a sperimentare modi diversi di approcciare ai nostri stati mentali. Se leggerete questo libro forse la proposta su come gestire le emozioni vi sembrerà del tutto nuova, diversa, magari anche strana e assurda ma sappiate che si basa su numerosissime ricerche scientifiche che ne garantiscono la validità, fondatezza e affidabilità. Vi invito quindi ad avere un atteggiamento curioso e aperto e a provare a mettervi in gioco e forse scoprirete anche voi un nuovo modo di vivere e gestire le vostre emozioni.

A presto con un altro argomento e come sempre…..RESTATE CONNESSI!

Dr.ssa Pinton Michela

Stiamo meglio noi o stanno meglio loro?

Ciao a tutti,
dopo la pausa estiva eccomi di nuovo a scrivervi. Perdonate l’assenza ma una pausa ristoratrice era necessaria.
Quando si rientra dalle vacanze si tende a fare un bilancio di come sono andate e di quello che ci hanno regalato o almeno io faccio così, perciò vorrei condividere con voi i miei pensieri.
Questa estate ho fatto un lungo viaggio in un angolo remoto dell’Africa, ovvero a Capo Verde. Da molto tempo avevo desiderio di visitare questo paese e di immergermi in un ambiente e una cultura profondamente diversi da quelli europei e finalmente mi sono decisa. Infatti non ho scelto di chiudermi in uno dei fantastici resort 5 stelle che si possono trovare in quelle località ma ho vissuto per un paio di settimane in una città (Mindelo), in una delle isole più remote dell’arcipelago di Capo Verde (Sao Vincente).
Per poco tempo ho provato a vivere come vivono i capoverdiani, anche se le mie condizioni erano decisamente superiori alla maggiorparte di loro. Ho cercato per quanto mi fosse possibile di immergermi nel loro stile di vita e così ho mangiato i piatti che cucinano loro, ho visitato tutti i luoghi dell’isola, anche i paesini più sperduti e poveri, ho preso aiass (bus del luogo), alugher (pulmini del luogo) e taxi, ho ascoltato e ballato la loro musica, ho cercato di imparare o almeno capire la loro lingua (il creolo) e perfino ho cercato di pettinarmi come loro. Mi sono poi fatta raccontare tutto su come vivono, che lavori fanno, dove e come studiano, che tradizioni hanno.
Devo ammetterlo che il primo impatto è stato molto forte, mi sembrava di essere un’aliena caduta su un pianeta sconosciuto. Era tutto diverso, era difficile comunicare non conoscendo la loro lingua e adattarsi alle loro regole, ma un pò alla volta ci sono riuscita e alla fine della mia vacanza, avrei tanto voluto avere più tempo per fare e vedere più cose!!!
Un mio amico l’ultima sera prima di tornare in Italia mi ha chiesto: “Cosa ti porti a casa da questo posto e da questa esperienza?” E’ proprio questa mia riflessione che voglio condividere con voi.
Ho risposto che mi portavo a casa tre cose:
1. Un diverso senso del tempo, molto più dilatato, molto più lento. Avete presente il detto “non rimandare a domani ciò che potresti fare oggi”? Bene i capoverdiani hanno la filosofia esattamente opposta: “non ti assillare e non correre per fare tutto oggi, tanto c’è anche domani”. Questo modo di pensare è chiaramente visibile in tutto quello che fanno giorno per giorno, per esempio hanno 4 o 5 modi di dire diversi quando ti danno un appuntamento a seconda di quanto tempo ci metteranno per arrivare e ve lo garantisco hanno tempi lunghissimi, Non c’è fretta!!!
2. La calma e il relax. E’ vero che io ero in vacanza e potevo prendere tutto con molta calma, ma la calma era tutta intorno a me, era in tutte le persone che incontravo. Erano tutti pacifici, anche mentre lavoravano. Non ho visto nessun cameriere correre o automobilista innervosirsi per strada (anche se guidano come pazzi) o commesso stressato. Visto il concetto dello scorrere del tempo che hanno sono tutti molto tranquilli. Un altro loro motto: “non c’è niente che devi fare, si deve solo morire”.
3. Il sorriso. Capo Verde è un paese dell’Africa che, nonostante il turismo, è molto povero. Il salario medio è di 150 euro al mese. In città ci sono delle case decenti ma nei paesini le case sono degli ammassi di mattoni o delle baracche senza elettricità, acqua corrente e fognature. Per lo più vivono di pesca e poco altro o con i soldi che gli emigranti inviano alle famiglie. Non c’è nulla in quelle isole per passare il tempo, neanche un cinema (che tanto non lo potrebbero pagare). Eppure sono felici, sono tutti sorridenti, a volte perfino un pò chiassosi ma divertenti! Per strada e ovunque vai ti salutano tutti e se ti fermi, ti parlano tutti e ti trasmettono il loro buon umore. Il loro sorriso è contagioso!
Queste tre cose mi hanno fatto pensare molto perchè credo siano tre elementi che a Verona, ma non solo, in Veneto, In Italia, in Europa, in occidente tendono a scarseggiare.
Provate a pensarci, noi siamo sempre di corsa, abbiamo sempre mille cose da fare, dobbiamo sempre programmare tutto per riuscire a far tutto e siamo per la maggiorparte del tempo stressati, preoccupati, tesi per non dire ansiosi o depressi in molti casi. Certo abbiamo un sacco di cose, lavori importanti, vestiti, accessori, oggetti, case, teatri, concerti, cinema e chi più ne ha più ne metta, ma siamo felici???
Lì ho visto bambini giocare in una laguna con un frigorifero vecchio e arrugginito ed erano felicissimi.
Noi abbiamo il tempo, la pace e il sorriso???
Io ho osservato attentamente le persone intorno a me quando sono tornata in Italia e…….insomma!!!
Allora adesso vi giro la domanda fatidica: “Stiamo meglio noi o stanno meglio loro?”
Io ci ho pensato ed ho trovato la mia risposta, sta tutta nel mal d’africa che mi è venuto quando sono tornata, ma voi cosa ne pensate? Spero vorrete condividere con me e con chi legge il vostro pensiero. A presto con un altro post e buona ripresa dalle vacanze!!!

dav