oggi vi propongo un altro articolo sull’apprendimento degli studenti e la didattica a distanza (DAD), che sembrano essere argomenti ancora attuali visto che, a causa della pandemia, ci sono ancora molti studenti costretti a seguire le lezioni scolastiche da casa.
Riprendo a proposito alcune considerazioni fatte dal dott. C. Cornoldi, nell’ambito di un meet online sulla psicologia scolastica di qualche mese fa.
Una domanda che ci si sta ponendo in ambito scolastico negli ultimi tempi è se l’apprendimento degli studenti sia calato. Studi recenti, in cui è stato fatto un confronto tra il livello degli apprendimenti di qualche anno fa e di oggi, purtroppo confermano questa ipotesi e sembra che la dad abbia contribuito a questo fenomeno. Ci sono poi dati diversi a seconda della fascia d’età testata e in particolare sembra che i risultati peggiori riguardino il primo e secondo anno della scuola primaria.
Come agire quindi di fronte ad un simile dato? Come rialzare il livello di apprendimento?
Una soluzione possibile potrebbe essere quella di riportare l’attenzione di insegnanti ed educatori sullo studente come soggetto che apprende. Significa quindi prepararsi sui processi di attenzione, di memoria e di motivazione che favoriscono l’apprendimento e comprendere come questi si modificano quando si applica la dad. Purtroppo invece questi argomenti sono spesso trascurati.
Ma anche in questo caso si può trovare una soluzione perché gli psicologi scolastici, grazie alle loro conoscenze, possono aiutare a comprendere e riflettere questi processi mentali. Certo lo psicologo a scuola non deve perdere la sua identità e diventare un pedagogo facendosi coinvolgere nell’impostazione didattica pedagogica, che è materia degli insegnanti, e allo stesso tempo non deve imporre la propria visione da un punto di vista psicologico. Si tratta di collaborare tra professionisti diversi cercando di mettere in campo ognuno le proprie conoscenze e competenze.
Ecco perché come psicologi crediamo fortemente nel nostro ruolo all’interno degli istituti scolastici e continuiamo la nostra battaglia perché questo ruolo sia riconosciuto una volta per tutte anche a livello istituzionale. Se voi che leggete, siete interessati all’argomento, potete darci una mano in tal senso, chiedendo tutti insieme che lo psicologo sia inserito nelle scuole italiane. Solo se faremo capire che questo bisogno c’è e viene richiesto dalla maggioranza, allora forse qualche cambiamento ci sarà. Io lo spero e come sempre vi rimando al prossimo post e vi raccomando….restate connessi!!!
LA FATICA E’ UN REQUISITO INELUDIBILE DELL’APPRENDIMENTO OPPURE NO?
Ciao a tutti,
in questo articolo che prende spunto da una conferenza a cui ho assistito, vorrei parlarvi di come la fatica sia un requisito imprescindibile dal processo di apprendimento e di come la scuola di oggi in molti casi stia abbandonando questo concetto.
Alla recente Fiera delle Parole che si è svolta a Padova, ho partecipato ad una conferenza sul libro Cuore tenuta dal M. Fois. Tra i tanti argomenti trattati, uno è stato il confronto tra la scuola descritta dal libro Cuore e quella di oggi.
Ovviamente e giustamente la scuola è molto cambiata da quella di allora ma si è discusso se tale cambiamento sia sempre stato in meglio. Una delle affermazioni di M. Fois su questo punto è stata: “Da alcuni anni la parola fatica è stata bandita dalle nostre scuole!”
Secondo il relatore concetti come impegno, e fatica non si possono più neanche nominare a scuola e gli insegnanti si stanno trasformando in intrattenitori che fanno i salti mortali per rendere piacevoli e accattivanti le loro materie e lezioni, altrimenti non incontrano il gradimento degli studenti o rischiano di annoiarli.
Ammetto che sono d’accordo con questa opinione perché lavoro spesso a scuola e ho potuto constatare la difficoltà degli insegnanti di tenere accesa l’attenzione e la motivazione dei loro allievi. Io stessa faccio ogni sforzo possibile per rendere interessanti e dinamici i miei incontri in classe.
M. fois ha proseguito il suo intervento spiegando che in questo modo però ci troviamo di fronte ad un paradosso visto che la fatica è un elemento ineludibile dell’apprendimento. Non è possibile leggere, imparare, studiare, conoscere senza impegno e fatica. Allo stesso modo non è possibile trovare studenti a cui piaccia far fatica perché a nessuno piace. Quello che è successo per generazioni è che gli studenti si sono adattati o rassegnati a far fatica, chi più e chi meno ovviamente.
Quindi perché oggi non dovrebbe accadere la stessa cosa? Perché gli studenti di oggi non dovrebbero far fatica se questa è un requisito imprescindibile dell’apprendimento?
Forse questa domanda chiama in causa più noi adulti che i giovani studenti visto che per loro è naturale trovare lo studio difficile e faticoso.
Credo che siamo noi a voler slegare l’apprendimento dal concetto di fatica anche se è un’operazione impossibile. Per esempio mi capita che qualche genitore mi chieda: “Perché a mio figlio non piace studiare?” E io gli rispondo: “Perché a lei da bambino piaceva?”. Io ho dedicato tutta la mia vita allo studio quindi si può dedurre che mi piaccia e mi appassioni, eppure quando andavo a scuola non cantavo propriamente l’inno alla gioia quando era ora di fare i compiti. Da bambina preferivo giocare e da adolescente preferivo dedicarmi ai miei interessi e alle relazioni amicali e sentimentali. Niente di nuovo oggi sotto il sole. I giovani di oggi non sono diversi.
I motivi per cui noi adulti abbiamo deciso di evitare l’incombenza della fatica agli studenti di oggi possono essere diversi: per risultare più graditi ed avere la loro approvazione; per evitargli un compito gravoso; per paura di non essere amati e di entrare in conflitto; per proteggerli da una sofferenza; per procurargli solo esperienze piacevoli e così via.
Qualunque possa essere il motivo alla base di questa scelta la domanda che vi pongo sul finale è questa: “Siamo sicuri che eliminare la fatica dalla vita di bambini e ragazzi sia funzionale al loro crescita?”
Ricordiamoci che impegno e fatica sono “conditio sine qua non” per accedere alla vera conoscenza e alla comprensione della realtà. Quindi meglio un po’ di fatica oggi per avere adulti formati o meglio senza e adulti impreparati un domani? Io ci sto riflettendo e spero lo facciate anche voi.
Se vi va potete condividere la vostra opinione nei commenti e nel frattempo restate connessi!
Alcuni giorni fa ho partecipato ad una conferenza di C. Augias dal titolo: “Viviamo in tempi orribili o no?” L’argomento principale trattato riguardava come le nuove tecnologie hanno rivoluzionato la nostra vita, come ancora oggi la stanno cambiando e come la cambieranno in futuro. In questo articolo vorrei discutere con voi se abbiamo o meno gli strumenti per affrontare questa rivoluzione e se sì come possiamo usarli.
Secondo C. Augias (condivido il suo parere) l’avvento delle nuove tecnologie costituisce una vera propria rivoluzione, paragonabile a quella dell’invenzione della scrittura o della stampa e come tale ha ripercussioni su ogni aspetto della nostra vita. L’autore ha poi posto una domanda importante: “Noi siamo consapevoli della portata di questa rivoluzione?” In pratica siamo consapevoli dei vantaggi ma anche degli svantaggi o rischi connessi all’auso delle nuove tecnologie?
Forse ho una visione un po’ pessimista ma, basandomi sulla mia esperienza di vita e lavorativa, credo che questa consapevolezza non ce l’abbiamo!
Nel mio lavoro mi occupo molto dell’uso delle nuove tecnologie da parte di bambini e ragazzi e per questo cerco di tenermi il più possibile informata e aggiornata sull’argomento. Nonostante questo mi rendo conto di saperne molto poco e se io che me ne occupo ne so poco, chi non tratta questo argomento quante e quali informazioni può avere? Che consapevolezza quindi può avere di questo fenomeno?
Temo che in realtà la maggioranza delle persone stia semplicemente subendo questa rivoluzione senza avere gli strumenti per comprenderla e gestirla e cercando di adattarsi come può.
Ci sono sicuramente diversi motivi per cui accade questo e non sono necessariamente una colpa: per esempio non tutti sanno dove poter reperire informazioni su questo argomento e discriminare quelle attendibili da quelle che non lo sono; non tutti hanno lo stesso bagaglio di conoscenze per poter comprendere articoli, studi e ricerche su questa materia; non è facile stare al passo con la velocità di trasformazione ed estensione del fenomeno; non è possibile prevedere con certezza gli esiti di una rivoluzione ancora in corso; non tutti hanno tempo ed interesse ad occuparsi di questo argomento nonostante l’impatto che ha sulla loro vita quotidiana.
Questi sono solo alcuni dei motivi per cui credo che molte persone abbiano poca consapevolezza dell’impatto dell’era digitale sulla nostra vita. Tuttavia credo che non essere sufficientemente consapevoli comporti dei rischi. Non credo di svelare niente di nuovo se dico che l’uso delle nuove tecnologie porti con sé sia dei vantaggi ma purtroppo anche degli svantaggi. Provo a farvi qualche esempio: siamo inondati da innumerevoli informazioni nello spazio di pochi secondi ma stiamo perdendo la capacità di approfondire un argomento; abbiamo la possibilità di connetterci col mondo intero ma ci stiamo disabituando al contatto umano reale; abbiamo aumentato esponenzialmente la nostra capacità di multitasking ma a scapito della capacità di concentrarci su un unico compito……e potrei continuare ad elencare cose che stanno cambiando intorno a noi e dentro di noi!
Capite la portata di questa rivoluzione ora? Se non possediamo gli strumenti per affrontarla, almeno siamo consapevoli che c’è, che è in atto, che ci sta cambiando e come. Non facciamoci trovare del tutto inermi, impreparati. Stiamo sul pezzo, informiamoci, aggiorniamoci. Se non tutti sono in grado di farlo per i motivi che ho citato prima ci sono persone preparate ed esperte che possono aiutare ad orizzontarsi. Io mi affido a queste persone, a chi ne sa più di me e nel mio piccolo cerco di trasferire queste conoscenze a chi ne potrebbe sapere meno di me. Restiamo connessi quindi col problema e usiamo questa connessione per far passare le informazioni giuste, per aumentare la nostra consapevolezza collettiva!
l’estate ormai è andata e le vacanze sono un ricordo. Non so se vale lo stesso anche per voi ma per me, ogni anno, questo è il periodo della ripartenza: il lavoro riprende a pieno ritmo, lo studio e la formazione ricominciano e riprendo anche tutte quelle attività che d’estate di solito si sospendono come sport, hobby e interessi vari. Insomma per me l’anno solare comincia a settembre invece che a gennaio. Capita anche a voi? Se succede anche a voi questo post vi potrà interessare perché vorrei parlarvi dell’importanza di dedicare del tempo a noi stessi e alle cose che ci possono dare gioia, soddisfazione e gratificazione.
Dopo circa due anni di pandemia e relative limitazioni, sembra che si possa tornare alla normalità, anche se ancora qualche regola sussiste e che possiamo riprendere tutte quelle attività che erano state interrotte o comunque molto limitate. Non pensiamoci due volte allora e riprendiamoci i nostri spazi e tempi personali perché credo che ne abbiamo tutti un gran bisogno sia da un punto di vista fisico che mentale. Riprendiamo a fare sport, quello che più ci piace e riserviamo tempo ai nostri interessi, hobby, passioni di qualunque genere siano. Settembre è il mese delle prove, dell’organizzazione, del gioco degli incastri delle varie attività e poi l’anno può cominciare.
Io sto vivendo proprio questa fase, con l’aggiunta che ho anche voglia di cambiare e quindi sto provando tante cose nuove per poi decidere cosa scegliere. Per esempio l’altra sera ho fatto una prova di canto-teatro anche se non ho mai cantato in vita mia. Vi racconto di questa mia esperienza perché la presentazione che l’insegnante ha fatto di questo corso credo riassuma perfettamente quali dovrebbero essere gli ingredienti da cercare quando scegliamo di dedicare del tempo a noi stessi. La presentazione sostanzialmente è stata questa: “propongo questo corso perché voi impariate a conoscere e usare correttamente il vostro corpo e la vostra voce, perché impariate a respirare e rilassarvi, perché impariate ad esprimere e comunicare le vostre emozioni, i vostri pensieri e tutto ciò che avete dentro di voi e perché impariate a stare con gli altri e relazionarvi bene con gli altri. Ma soprattutto vorrei che vi divertiste tanto, che vi sentiste completamente liberi e contenti“.
Dopo queste parole ho pensato: “Questo corso è mio!”
Ma vorrei che diventasse anche vostro!!!
No, non vi sto invitando a venire tutti con me, non sto facendo pubblicità. Vi sto invitando a cercare gli stessi ingredienti sopra elencati in qualunque attività vi interessi. Cercate anche voi qualcosa che vi rilassi, che vi distolga dai problemi di tutti i giorni, che vi appassioni, che vi diverta da morire……insomma che vi faccia stare bene fisicamente e spiritualmente. Che sia correre in bicicletta, nuotare o buttarsi col paracadute, che sia suonare, recitare o dipingere poco importa. L’importante è che sia qualcosa che vi gratifichi e vi dia soddisfazione. Mettiamo un po’ di gioia e serenità nella vostra vita e affronteremo meglio i doveri, le incombenze e i problemi che ogni giorno incontriamo. Io sono decisa a farlo e voi?
Aspetto con curiosità e interesse il vostro parere e i vostri commenti e come sempre…restate connessi!
oggi riprendo e concludo l’articolo della scorsa settimana sull’utilizzo delle nuove tecnologie dopo la mia esperienza negli istituti scolastici lo scorso anno. Avevo concluso il mio precedente post raccontandovi di quanto i ragazzi siano abili nel comprendere il funzionamento dei sistemi digitali mentre per parte mia ho potuto mettere in campo competenze di altro tipo. Da ciò l’idea di una collaborazione tra adulti e ragazzi quando si interagisce con questi strumenti.
Questa idea mi è venuta anche perché mi sono resa conto che il modo in cui gli alunni approcciavano ai diversi device appariva del tutto inconsapevole e facile al condizionamento. Per usare una similitudine, immaginate che il web sia una giungla e che i ragazzi siano dei dispersi senza alcun strumento di sopravvivenza.
Per fare degli esempi: 1) la maggior parte di loro non si rende assolutamente conto di quanto tempo passa connesso perché viene risucchiato da un vortice di messaggi, notifiche, video e così via;
2) sono talmente assuefatti al piacere che provocano questi strumenti da non riuscire più a staccarsene o farne a meno;
3) il mondo virtuale è talmente compenetrato nel mondo reale che finiscono con l’essere continuamente distratti e influenzati da ciò che succede nel mondo virtuale, creando una sorta di interferenza continua;
4) difficilmente riescono a distinguere ciò che vero da ciò che non lo è, tutto diventa assolutamente credibile solo perché online e ripetuto in maniera ridondante.
Questi sono alcuni esempi di quello che accade ai ragazzi quando sono connessi. Li definirei “disarmati” perché mancano di competenze importanti e utili per approcciare nel modo corretto al mondo virtuale: parlo della capacità di darsi delle regole di comportamento, parlo della capacità di discriminare e scegliere nel mare magnum della rete ciò che è attendibile, utile, interessante e di valore da ciò che non lo è, parlo di pensiero critico. Attenzione però, perché non ne faccio una colpa ai ragazzi se non possiedono o non hanno ancora sviluppato queste capacità e competenze. Il fatto è che serve un certo grado di maturità per averle e semplicemente loro ancora non ce l’hanno perché stanno crescendo, sono in fase di formazione. Sarebbe come chiedere ad un neonato di alzarsi in piedi e fare una corsa. Non è possibile perché non ne ha le capacità.
Si tratta quindi di comprendere che un minore non ha ancora le abilità per gestire gli strumenti tecnologici.
Quale la soluzione allora? Li vietiamo finché non hanno raggiunto la giusta maturità come succede per esempio con la patente di guida?
Assurdo, se non impossibile da realizzare visto che le nuove tecnologie ormai fano parte integrante del nostro quotidiano e indietro non si può tornare. In alternativa allora ritorno alla mia idea di partenza: la collaborazione tra adulti e ragazzi. Finché un minore non ha acquisito le abilità necessarie a gestire in autonomia i dispositivi tecnologici dovremmo essere noi adulti ad accompagnarlo e aiutarlo nel mondo virtuale esattamente come da sempre facciamo nel mondo reale.
Ma è a questo punto che sorge un’altra domanda: “Quanti di voi adulti svolgono davvero questa funzione? Quanti stanno a fianco per osservare, informare, spiegare, aiutare, parlare, sorvegliare, sostenere finché non è arrivato il momento di lasciare andare?”
Posso già rispondere a questa domanda: pochissimi!!!
Cari genitori, insegnanti, educatori etc. etc. a questo punto non mettetevi sulla difensiva per quanto sto dicendo perché questo non è un mio punto di vista ma l’affermazione di almeno un centinaio di ragazzi della scuola secondaria di primo grado a cui ho posto la stessa domanda.
Tranne qualche raro caso, quasi tutti mi hanno risposto che il tempo online lo passano sempre da soli, senza nessun adulto che se ne occupi o stia loro accanto. Se ciò corrisponde al vero e non ho motivo di dubitarne ho un’altra domanda da porvi: “Perché noi adulti non ci stiamo occupando dell’educazione dei minori all’uso delle nuove tecnologie? Oppure perché deleghiamo ad altri tale funzione come ad esempio la scuola? Non ci rendiamo conto neanche noi di quanto e come usano tali strumenti, dei rischi a cui possono andare incontro? Non siamo abbastanza pronti, informati, preparati a svolgere tale compito o è troppo difficile e quindi stiamo rinunciando?”
Qualunque sia il motivo, rinunciare o delegare non mi sembra una buona soluzione o per lo meno la trovo molto rischiosa. Per questo la mia proposta continua ad essere la stessa: “Armiamoci e partiamo” ovvero prepariamoci, informiamoci, studiamo per insegnare, aiutare e stare davvero accanto alle nuove generazioni nell’utilizzo dei dispositivi digitali.
A, Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva, che ha scritto diversi libri sull’argomento, ha detto: “Voi consegnereste a vostro figlio minorenne le chiavi di una Ferrari e gli direste di andare a far un giro?”
Credo che la maggior parte di voi risponderebbe ovviamente di no. Ma allora perché consegnare nelle mani di un minore un dispositivo dalle infinite possibilità senza istruzioni per l’uso e senza la giusta preparazione?
Io nel mio piccolo, ho scelto di svolgere questo compito e fare il possibile per stare a fianco ed aiutare. Ora lascio a voi fare le dovute riflessioni sull’argomento e valutare se e come assolvere al ruolo educativo anche in questo ambito. Se vorrete condividere il vostro pensiero mi farà molto piacere.
come promesso, dopo la pausa estiva, torno a pubblicare articoli divulgativi, riflessioni e commenti nell’ambito della psicologia, che spero possano essere di pubblico interesse.
Forse ricorderete che fino a Giugno ho lavorato in un paio di Istituti Comprensivi di Padova e provincia come psicologa scolastica. Uno dei progetti per le classi della scuola secondaria di primo grado che sono stata incaricata di seguire si intitolava “I pericoli della rete”, che però io ho voluto trasformare in “Pro e contro delle nuove tecnologie”. Lungi da me infatti era l’intento di demonizzare le nuove tecnologie visto che mai come in questi ultimi due anni ci sono state così utili.
Nello stesso periodo in cui mi accingevo ad affrontare questo argomento in classe, per una singolare coincidenza, è arrivato un periodo di lock down e l’obbligo anche per me di utilizzare la dad.
Ripensando quindi a come presentare gli argomenti che volevo trattare e a come interagire con gli alunni attraverso il pc, ho subito capito che avrei dovuto buttare nel cestino metodi e strumenti per me consueti e cercare nuove strade. E così ho fatto!
Nella mia pratica professionale non è una novità usare le nuove tecnologie, lo faccio quotidianamente ma qui mi si presentava una sfida nuova: “Come interagire con un intero gruppo classe attraverso il computer senza far diventare il mio intervento una lezione didattica frontale? Come mantenere aperto il dialogo e il confronto? Come approfondire gli argomenti senza diventare noiosa?”
Lo strumento non era nuovo per me ma la sua applicazione in ambito scolastico diventava in quel momento una nuova esperienza da affrontare e così ho cominciato a informarmi su quante più possibilità potesse offrirmi. Ho scoperto infinite possibilità: programmi, app, piattarfome e così via. Qualcuna già la conoscevo, qualcun’altra confesso di no. E così ho cominciato a studiare, a prepararmi, ad applicarmi in questi nuovi strumenti rendendomi conto che c’è un mondo da scoprire e così tanto da sapere anche in virtù del fatto che le nuove tecnologie sono in continua evoluzione.
Ovviamente in poco tempo sono riuscita a trovare il modo di applicare solo qualcuno degli infiniti mezzi a disposizione e quando ho cominciato a confrontarmi con gli alunni mi sono resa conto di quanto loro sappiano usare questi mezzi in modo più immediato, intuitivo e abile di me. Anche quando non conoscono un programma, sono immediati nell’apprendere come utilizzarlo. Lo fanno in modo automatico, mentre io ci devo pensare, impiego più tempo.
E così la prima cosa che ho capito è che i ragazzi potevano essermi utili nel destreggiarmi con le nuove tecnologie. Mi sono chiesta: “Perché non uscire davvero dall’ottica docente-discente e metterci su un piano di vera collaborazione, dove i ragazzi sono gli esperti del funzionamento del mondo digitale e io l’esperta di come funziona la mente umana quando interagisce con questi strumenti e di quali abilità e competenze richiedono?”
Questa è la prima riflessione a cui sono arrivata nel corso di quella esperienza ma ce ne sono state altre ancora di cui vi vorrei parlare nel prossimo post. Nel frattempo, condividete con me che le nuove generazioni sono più abili di noi adulti nell’approcciare alle nuove tecnologie e che quindi è fondamentale per noi genitori, insegnanti, psicologi, educatori…..stare al passo con loro cercando il più possibile di informarci e aggiornarci?
Spero conveniate con me e che vi armiate, come faccio io, di tempo e pazienza per imparare e tenere il passo!
A presto con la seconda parte dell’articolo. Restate connessi!
Siamo lieti di informare la nostra clientela che il Centro di Psicoterapia Scaligero ha ripreso la normale attività professionale dopo la pausa estiva.
Potete contattarci telefonicamente o tramite mail per qualsiasi informazione o per prendere appuntamento. I riferimenti li trovate sulla homepage del sito.
A breve ci saranno delle novità perchè ci estenderemo anche su diverse piattaforme social, pertanto continuate a seguirci!
Il Centro di Psicoterapia Scaligero chiude per ferie e riaprerà il 23/8/2021.
E’ possibile contattarci anche in questo periodo sia telefonicamente che tramite mail o social per qualunque informazione o per fissare un appuntamento.
Causa pandemia ci rendiamo conto che anche quest’anno è stato particolarmente pesante da un punto di vista psicologico per molti, per questo motivo l’equipe tutta augura ai nostri utenti di trascorrere delle vacanze il più possibile serene, riposanti, rigeneranti e perchè no anche divertenti, dove e con chi preferite. Abbiamo tutti un gran bisogno di “ricaricare le batterie”!
Uno dei trattamenti psicoterapici ad oggi più accreditati e utilizzati nel nostro Centro Clinico è quello dell’Eye Movement Desensitization and Reprocessing, comunemente detto EMDR. Focalizzato sull’elaborazione del ricordo di eventi traumatici, l’EMDR ha dimostrato la sua efficacia nel trattamento di numerose psicopatologie, tra cui ansia, fobie, depressione, disturbo post traumatico da stress, lutto acuto, sintomi somatici o dipendenze. Anche nel disturbo di panico (DP) si è dimostrato particolarmente efficace.
Perché per noi è così importante trovare dei trattamenti efficaci per il Disturbo di Panico? Prima di tutto, perché ad oggi risulta una delle forme di disagio più diffuse nella nostra società e, unitamente a ciò, perché chi ne soffre sperimenta una forte e costante paura, che può portare a condotte disfunzionali e ad un peggioramento del disturbo. Nel tentativo di contenere gli attacchi di panico, infatti, la persona mette in atto una serie di strategie disadattive, primo tra tutte l’evitamento, nei confronti di quelle situazioni e/o comportamenti che pensa possano causare un nuovo attacco. Con il tempo, l’evitamento tende a diventare ricorrente e pervasivo, limitando fortemente la libertà d’azione di chi lo mette in atto. È chiaro quindi che, se non affrontato precocemente, il disturbo può diventare debilitante e portare ad isolamento sociale, limitazione delle attività personali, riduzione della qualità di vita e insorgenza di altre condizioni psicopatologiche come l’agorafobia o altre fobie. La forte paura che la persona prova, sia di fronte all’attacco in sé, sia all’idea di sperimentarne altri in futuro, è giustificata dalle caratteristiche stesse degli attacchi; essi si concretizzano infatti attraverso una reazione immediata dell’organismo, che si manifesta direttamente a livello fisico con un repentino aumento dell’attivazione fisiologica (arousal), non “mediata” da un pensiero o un’azione immediatamente riconoscibili come causa scatenante. L’attivazione fisiologica è collegata a ciò che comunemente viene definito “fight or flight” (attacca o scappa), la reazione tipica dell’organismo quando si trova di fronte ad un pericolo, che diventa però spaventosa se la fonte di pericolo non è immediatamente riconoscibile. Essa si manifesta attraverso sintomi somatici (palpitazioni, sudorazione, vampate di calore, brividi, nausea, giramenti di testa) accompagnati da altrettanti sintomi psicologici (senso d’irrealtà, paura di perdere il controllo, di morire o di impazzire, amnesie, estraneamento da sé stessi).
Perchè si usa l’EMDR? Secondo il modello dell’EMDR esperienze sfavorevoli infantili o eventi traumatici possono compromettere la capacità dell’individuo di far fronte ad esperienze stressanti. I pazienti con DP, durante questi vissuti traumatici, potrebbero aver dissociato la parte emozionale dell’esperienza, confinandola in un circuito separato di memorie disadattive. Se, infatti, normalmente le informazioni provenienti dall’esterno vengono rielaborate continuamente e integrate alle esperienze attuali, i ricordi traumatici rimarrebbero “separati”, mantenendo l’intensità emotiva di quando sono stati vissuti. L’individuo risulta particolarmente sensibile a questo meccanismo soprattutto quando le esperienze sfavorevoli sono vissute in infanzia, periodo in cui il cervello è in fase di maturazione. Queste informazioni parzialmente isolate possono essere riattivate in modo imprevedibile da situazioni di vita quotidiana, risvegliando inconsapevolmente i ricordi traumatici e tutte le emozioni/sensazioni collegate. Per questo motivo, quando un paziente vive un attacco di panico ed esperisce tutte le sensazioni ed emozioni non elaborate, generalmente non è in grado di individuare la causa scatenante o dare un senso all’evento. L’EMDR lavora dunque sia sull’attacco di panico in sé, vissuto esso stesso come evento traumatico, sia sulle esperienze traumatiche del passato. Nello specifico, si vanno ad elaborare le informazioni connesse a: -il ricordo degli attacchi di panico -le situazioni che determinano il disturbo nel presente -le esperienze traumatiche pregresse Una volta che i ricordi vengono elaborati, perdono la loro valenza negativa originaria e possono essere integrati con le altre memorie. Aiuteremo inoltre il paziente a trovare delle strategie funzionali per ridurre l’evitamento e i comportamenti protettivi che, contrariamente a ciò che si aspetta, mantengono il disturbo.
Nel Centro di Psicoterapia Scaligero ci interroghiamo spesso su quelli che sono i fenomeni attuali, di cui si parla maggiormente. Data la preoccupazione di molti genitori legata all’utilizzo massiccio di TikTok da parte dei figli, ci siamo interessati alla relazione tra il famoso social network e il benessere degli adolescenti. Tiktok nasce nel 2016 e in pochissimo tempo si diffonde in tutto il mondo, soprattutto all’interno della popolazione giovanile. Nel 2020 conta in Italia più di 2 milioni e mezzo di utenti e la sua espansione non sembra rallentare. Ci siamo chiesti innanzitutto, perché i giovani usano TikTok? Da quanto emerge in letteratura, sembra che TikTok non sia solo un “capriccio” per gli adolescenti, ma un vero e proprio bisogno. Secondo Shao (2018) TikTok fornisce agli adolescenti la possibilità di sentirsi parte del loro gruppo di pari, di mettersi in luce al suo interno e di ricevere feedback su sé stessi, in modo da potersi conoscere meglio. Bucknell, Kottasz e altri autori sottolineano, inoltre, come la partecipazione attiva a TikTok, attraverso la creazione di contenuti sotto forma di video brevi, sia motivata dalla necessità di espandere la propria rete sociale, esprimersi in modo creativo e cercare il successo. Anche l’utilizzo passivo (osservare i video altrui) sembra avere una certa utilità, perché in grado di far evadere i giovani dalla loro quotidianità. In una realtà in cui, la maggior parte dei giovani utilizza TikTok, non farlo vuol dire essere esclusi dal gruppo. Una volta compreso il perché è così importante avere un account sul social network, ci siamo posti una seconda domanda:
TikTok rappresenta davvero una fonte di benessere per gli adolescenti? Sembra che la risposta che emerga dalla letteratura sia negativa. A differenza di altri social, quali Facebook, Instagram o Twitter, l’interazione principale dei ragazzi non è con altri utenti ma con “una versione algoritmizzata” di sé. TikTok sfrutta un algoritmo molto veloce che permette di cogliere quasi istantaneamente gli interessi di chi lo usa, così da personalizzare l’esperienza in base alle sue preferenze. Ciò si traduce nell’essere catturati con estrema rapidità da un flusso di video personalizzati, suscitando esperienze molto immersive e potenziale “dipendenza” (Bhandari & Bimo, 2020). Al contrario quindi di altri social network, non è stata rilevata nessuna relazione tra TikTok, supporto sociale e benessere, sia se usato attivamente che passivamente. Secondo Kross e altri autori (2021) anche il confronto con persone di maggior successo e l’accesso alle cosiddette “sfide” potrebbe determinare effetti dannosi sull’esperienza di utilizzo. Nota positiva invece, TikTok, come altri social network, può essere sfruttato per la diffusione di conoscenze e informazioni positive tra i giovani. A questo proposito, durante l’emergenza Covid, il governo cinese ha deciso di adottarlo quale strumento di diffusione di conoscenze sanitarie (come l’importanza dell’utilizzo di mascherine) attraverso video brevi. L’iniziativa è stata accolta positivamente tra i giovani.
Cosa possiamo concludere quindi su TikTok? Nonostante la ricerca ad oggi sia ancora limitata, è importante sottolineare che, nonostante TikTok non sembri produrre un reale benessere in chi lo utilizza, quando si parla di adolescenti l’appartenenza ad un gruppo, così come l’aumento dell’indipendenza dagli adulti e l’esplorazione della propria identità, diventa un bisogno fondamentale; possiamo dunque ipotizzare che il “non uso” di questi strumenti possa rappresentare una fonte di malessere per i giovani, di fatto peggiore del suo utilizzo. È importante comunque incoraggiare i ragazzi ad usarlo con moderazione, a limitarne il tempo di utilizzo e ad interagire con il gruppo di pari non solo online, ma anche offline. Quest’ultimo aspetto permetterebbe all’adolescente di poter disporre in maniera equilibrata degli strumenti a sua disposizione, per favorire una migliore e più sana inclusione.