Rassegna “Pillole di psicologia”. La dr.ssa Pinton Michela risponde alle domande del pubblico durante la serata “Ansia e Panico” e spiega per quali motivi è utile affidarsi ad uno psicoterapeuta. Buona visione!
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Terapia per l’ansia in età evolutiva.
Un altro video della rassegna “Pillole di psicologia”. In questo filmato vi parlerò delle fasi della terapia per l’ansia in età evolutiva e di alcuni strumenti maggiormente utilizzati. Buona visione.
I 6 e + motivi per cui gli adolescenti non accedono ai servizi a loro dedicati. (Parte 2)
Nell’ambito del Convegno “I giovani e i disagi della sessualità” di qualche mese fa, un medico di base ha elencato le difficoltà che incontra quotidianamente nel tentare di occuparsi della fascia di età adolescenziale e mi sono resa conto che sono circa le stesse difficoltà che incontro io come psicoterapeuta.
Nel mio post precedente ho elencato i motivi per cui difficilmente un adolescente accede ai servizi a lui dedicati. Oggi proverò a dare qualche informazione e qualche spunto di riflessione nel tentativo di abbattere qualcuno di quegli ostacoli di cui sopra.
Mi rivolgo proprio a te ragazzo o ragazza, nella speranza che riuscirai a leggermi:
- ricordati che puoi chiedere un colloquio privato con un medico o con uno psicologo/psicoterapeuta, senza la presenza dei tuoi genitori. I tuoi genitori devono essere informati della tua scelta ma non dei contenuti del colloquio. Hai diritto come gli adulti ad essere tutelato per la tua privacy e ad essere informato sullo stato della tua salute. Questa garanzia ti dovrebbe consentire di aprirti e parlare liberamente di tutto ciò che ti interessa o ti preoccupa;
- è vero che puoi avere difficoltà a raggiungere il mio studio, specie se abiti lontano e se i tuoi genitori non sono sempre disponibili ad accompagnarti ma possiamo trovare insieme il momento migliore per vederci ed usare i mezzi pubblici, la bici o il motorino può essere un’occasione per crescere in autonomia e indipendenza;
- tu sei un ragazzo/a e io un’adulta e quindi potremmo avere gusti e modi di pensare diversi ma credo che dal confronto possa sempre nascere qualcosa di buono e che si possa imparare gli uni dagli altri, l’importante è tenere aperta la nostra mente. Io cercherò di farlo sempre con te, così come cerco sempre di tenermi aggiornata sugli interessi e sulle mode del momento di voi ragazzi;
- cercherò anche di parlare la tua lingua, di farmi comprendere da te, evitando termini tecnici ma se mi sfuggisse qualcosa puoi sempre segnalarmelo e chiedermi una spiegazione. Sarò sempre disponibile a spiegarmi meglio;
- lo so che alla tua età la vita corre ai 100 all’ora e vorresti risolvere qualunque tuo problema in pochissimo tempo, magari in una sola seduta. Credimi che vorrei poterlo fare ma non ho la bacchetta magica e non leggo nel pensiero. Io cercherò di fare il meglio che posso con gli strumenti che ho ma sarà molto utile il tuo aiuto. Più riusciremo a parlare, a comprenderci e a lavorare in sinergia, prima troveremo una soluzione. La tua collaborazione è quindi fondamentale;
- i costi dei colloqui con me non sono a carico tuo ma dei tuoi genitori e quindi entrambi dipendiamo dalle loro possibilità e disponibilità. Ciò significa che entrambi dovremmo impegnarci per sfruttare al meglio le risorse e il tempo che abbiamo a disposizione e in caso di particolari problemi economici sono sempre disponibile a cercare un punto d’incontro;
- se posso convenire con te che un colloquio con uno psicologo può indicare la presenza di un problema, questo non significa che si tratti necessariamente di qualcosa di grave. Ho bisogno di vederti e di parlare con te per capire se un problema esiste davvero o è solo un fase di passaggio un po’ complicata. E se un problema c’è, è importante capire che significato gli dai tu. Non è che forse lo ingigantisci un po’ questo problema? Non è che hai solo paura di essere giudicato? E se il giudizio fosse solo nella tua testa? Se credessi tu stesso di avere un grave problema, qualcosa che non si può risolvere e ne avessi così tanta paura da negarlo e rifiutare di parlarne nell’illusione che scompaia da solo?
Chiudo questo post lasciandoti riflettere su queste ultime domande e se tu o chi ti sta vicino volesse chiedermi qualcosa, sappi che lo puoi fare sia in privato che scrivendo su questa pagina. Cercherò di rispondere nel più breve tempo possibile. Aggiungo solo un’ultima considerazione. Se pensi di chiedere aiuto agli amici, prima di tutto affida le tue preoccupazioni solo ai veri amici e poi ricordati che gli amici che hai probabilmente sono ragazzi della tua età o giù di lì, che possono ascoltarti, starti vicino e a loro modo sostenerti, ma che possono anche non sapere come aiutarti nel modo migliore perché non hanno le conoscenze e l’esperienza che ha un professionista. Quindi se pensi di avere un problema ed entro un certo tempo da solo o con gli amici non ne vieni fuori prova a pensare ad un’alternativa. Le persone che possono darti una mano ci sono. Io sono qua!
I 6 e + motivi per cui gli adolescenti non accedono ai servizi a loro dedicati. (Parte 1)
Nell’ambito del Convegno “I giovani e i disagi della sessualità” di qualche mese fa, un medico di base ha elencato le difficoltà che incontra quotidianamente nel tentare di occuparsi della fascia di età adolescenziale e mi sono resa conto che sono circa le stesse difficoltà che incontro io come psicoterapeuta.
I problemi di salute degli adolescenti che possono richiedere l’intervento sia di medici che degli psicoterapeuti sono i più diversi perché si spazia dai problemi d’ansia, alla depressione (in alcuni casi con rischio suicidario), ai disturbi alimentari, all’assunzione e abuso di sostanze come alcol, fumo e droghe, a fenomeni come la dipendenza da internet, la dipendenza dal gioco d’azzardo, il bullismo e molti altri problemi ancora. Insomma i rischi che corre un adolescente sono molti, soprattutto se cade in uno di questi problemi e non riesce ad accedere ad interventi e cure adeguate.
I motivi per cui gli adolescenti accedono con fatica ai servizi a loro dedicati sono diversi:
- non credono di essere tutelati dal punto di vista della privacy perché vengono accompagnati dai genitori e non si sentono quindi liberi di comunicare tutto ciò che li riguarda;
- hanno spesso difficoltà logistiche per poter arrivare da soli nello studio del professionista;
- esiste un gap generazionale tra adolescente e professionista che può essere vissuto come un ostacolo ad una reale comprensione scevra dal giudizio;
- a volte i professionisti tendono ad usare un linguaggio tecnico, poco comprensibile e distante dal linguaggio degli adolescenti;
- cercano le informazioni sui loro problemi nella rete;
- hanno difficoltà a mantenere nel tempo un eventuale percorso terapeutico.
Come psicoterapeuta, a questo elenco di difficoltà, posso aggiungere anche il problema economico, visto che gli adolescenti dipendono ancora economicamente dai genitori e, ancora una volta, i pregiudizi. Spesso mi capita di essere contattata da genitori e/o insegnanti che rilevano un problema nel proprio figlio o alunno adolescente, il quale però si rifiuta categoricamente di incontrarmi e parlare con me. Spesso si comportano in questo modo perché sono convinti di non avere un problema e il solo fatto di accedere al mio studio significherebbe il contrario. In altri casi, magari concordano sul fatto di avere qualche problema ma sono convinti di potersela cavare da soli o con l’aiuto degli amici.
Potete constatare da soli che gli ostacoli nel trattare gli adolescenti sono tanti e difficili da superare, anche se questa fascia d’età forse è quella che corre maggiori rischi e ha maggior bisogno di aiuto. Per questo motivo, nel mio prossimo post proverò a dare qualche informazione e qualche spunto di riflessione nel tentativo di abbattere qualcuno di quegli ostacoli di cui sopra.
Pregiudizio 7: la psicoterapia dura troppo!
Questo è forse l’unico pregiudizio che viene mosso alla mia categoria professionale che in parte capisco e accetto. Bisogna ammettere che in Italia, per molti anni, si è sentito parlare solo di terapie di lunghissima durata, a volte addirittura decennale o ventennale. Ma è così anche oggi???
E’ assolutamente vero che esistono percorsi psicoterapeutici che si protraggono per molto tempo (di solito fanno riferimento ad un particolare approccio), ma è anche vero che, nonostante il ritardo rispetto ad altri paesi, finalmente anche in Italia sono riconosciuti e stanno prendendo sempre più piede anche altri modelli, di ben altra durata temporale. Probabilmente ciò accade anche in virtù del cambiamento dei tempi e delle diverse necessità da parte della società. Non starò ora a farvi l’elenco di tutti gli approcci psicoterapeutici e delle loro tempistiche perché, come al solito, preferisco parlare solo di ciò che conosco direttamente e applico nel mio lavoro.
Siccome mi rifaccio al modello teorico della psicoterapia cognitivo comportamentale, posso affermare che secondo questo approccio un percorso terapeutico può durare tra i 4 e i 12 mesi a seconda del caso. Si tratta quindi di un percorso a breve termine e ciò è possibile perché terapeuta e paziente collaborano per la risoluzione di un problema presentato qui ed ora. I colloqui sono solitamente a cadenza settimanale e più che la durata della terapia, aspetti importanti sono la costanza e la continuità. Ovviamente non tutti i casi sono uguali e quando il livello di gravità è alto il tempo di cura può prolungarsi oltre l’anno. In questi casi di solito si integrano anche altre forme di trattamento e la farmacoterapia, se necessari.
Con queste poche e semplici informazioni spero che il punto di vista sulla durata della psicoterapia posso cambiare. Prima di salutarvi però ci terrei a sottolineare una cosa: tempi brevi di psicoterapia sono possibili ma un’unica seduta NO! Lo dico perché capitano pazienti che chiedono un unico colloquio nella speranza di avere una soluzione immediata ai loro problemi, ma ciò non è possibile. Noi psicologi e psicoterapeuti non siamo maghi, non leggiamo la mente, non abbiamo bacchette magiche o sfere di cristallo per risolvere in un colpo solo i problemi della gente. Se avessimo in tasca la soluzione di ogni problema sarebbe una fortuna per tutti e il mondo sarebbe diverso, ma questi sono solo sogni ed illusioni. Quello che possiamo realisticamente fare è mettere a disposizione le nostre conoscenze per aiutare le persone a vedere i problemi da un altro punto divista e trovare da sé delle soluzioni oltre che migliorare il benessere e l’equilibrio interiore. Il massimo che possiamo fare in una sola seduta è inquadrare molto bene il problema che ci è stato esposto dal paziente e descriverlo in maniera puntuale in modo che possa avere una visione più chiara di sé e della sua situazione da cui poter partire. Il percorso terapeutico se necessario viene dopo e richiede per forza più tempo. Le “terapie fast food” non esistono, tenetelo a mente!
Pregiudizio 5: Nessuno può capire il mio dolore!
Per la rassegna “sfatiamo vecchi pregiudizi” siamo arrivati ad uno che mi preme davvero molto: “nessuno può capire il mio dolore!”. Ci tengo molto a discutere questa credenza perché non farlo significherebbe dire a tante persone che soffrono o che hanno un problema che non si può far nulla per loro, che non è possibile aiutarle e questo oltre che falso sarebbe dannoso.
Sarebbe utile sapere da voi pubblico quali sono i motivi che portano ad una simile credenza. Forse non si è trovato qualcuno veramente capace di ascoltare o aiutare o forse si crede di avere un problema troppo grande o irrisolvibile. Io vi posso raccontare un episodio che mi è capitato durante una serata pubblica in cui parlavo di ansia e panico. Una persona tra il pubblico mi ha informato di essere affetto da attacchi di panico da molto tempo e mi ha chiesto se io avessi mai sofferto di attacchi di panico. Prima di rispondere ho chiesto come mail volesse avere questa informazione da me e la sua risposta è stata: “Perché se lei non ha sofferto di attacchi di panico, non può capire davvero come mi sento e non può sapere come aiutarmi!”
E’ stata sicuramente un’affermazione forte ed ho ritenuto fondamentale andare a fondo della questione. In prima battuta ho replicato così: “Quindi secondo il suo ragionamento io dovrei aver sofferto di tutti i disturbi mentali conosciuti per poter comprendere i miei pazienti ed esercitare bene la mia professione?”. Che ciò sta a dire che solo chi ha avuto esperienza diretta di un certo problema sa come risolverlo. Poi ho aggiunto: “Se questo è il suo pensiero allora dovrebbe chiedere ad un medico se ha sofferto di tutte le malattie presenti al mondo, dall’influenza al tumore, perché solo così saprebbe come curare le persone”. Ma è possibile una cosa del genere? Facciamo ai professionisti (non psicologi) a cui ci rivolgiamo questo tipo di domande prima di affidarci a loro? Ovviamente no! Di solito quando si decide di rivolgersi ad un professionista si cercano informazioni sulla sua formazione, sulla sua esperienza lavorativa in un certo campo e sul parere dei suoi assistiti.
Perché invece per la categoria psicologi questo non basta? Perché le persone si aspettano qualcosa di più? Credo che la questione stia tutta nella fiducia. Probabilmente ci sono ancora persone che hanno poca fiducia nella professione dello psicologo per timore o per scarsa informazione. In uno dei primi articoli ho spiegato quanto ancora ci sia da fare da parte della categoria per farsi conoscere e apprezzare come una reale possibilità di aiuto o di miglioramento delle condizioni di vita. Però credo serva anche un piccolo atto di fiducia da parte del pubblico, un provare a mettere in discussione le proprie idee e mettersi in gioco, esattamente come si farebbe se ci si dovesse rivolgere ad un nuovo dentista o idraulico o avvocato. In questi casi di solito ti informi se è bravo, da quanto lavora, quanto chiede, se i tuoi amici si sono trovati bene con lui e poi lo chiami e fissi un appuntamento. E se poi non si rivelasse all’altezza delle aspettative ne chiameresti un altro. Perché non fare la stessa cosa anche quando si deve scegliere uno psicologo? Di solito le persone che mi hanno contattato hanno fatto proprio così. Per concludere il discorso sulla fiducia vi racconto come si è conclusa la discussione con la persona di cui sopra. Alla fine ho risposto alla sua domanda e ho raccontato a tutto il pubblico in sala che effettivamente per un certo periodo della mia vita ho sofferto di attacchi di panico e che quindi potevo esattamente comprendere come si sentiva. D’altronde noi psicologi siamo esseri umani e pertanto non siamo esenti da momenti di difficoltà. Quando è successo mi sono rivolta anch’io ad un collega per farmi aiutare. Ho spiegato quindi al mio interlocutore che, sebbene io possa comprendere molto bene come si sentono le persone ansiose, questo fatto non mi rende necessariamente migliore di tanti altri miei colleghi che l’ansia non l’hanno mai avuta, perché le cose che contano nel nostro lavoro sono la preparazione, l’esperienza, l’empatia, la capacità di ascolto e tante tante altre cose che adesso non mi dilungo ad elencare. (Siccome l’empatia credo sia una capacità fondamentale per gli psicologi, sabato scriverò un approfondimento su questo tema.)
Ora vi saluto con un paio di domande: “Secondo voi il mio interlocutore si è sentito rassicurato dal fatto che io avessi sofferto di attacchi di panico come lui e quindi potessi capirlo? Secondo voi ha preso poi contatti con me per farsi aiutare?” Vediamo chi ha voglia di rispondere a questi miei quesiti. Nel frattempo vi auguro buona serata e ci sentiamo presto su questa “rete”.
Pregiudizio 3: lo psicologo potrebbe manipolare la mia mente!
In questo articolo vi svelerò i segreti del mestiere. Scopriamo insieme se e come uno psicologo può manipolare la mente delle persone.
In realtà questo pregiudizio mi sembra alquanto superato. E’ passato molto tempo da quando ho sentito una frase del genere. Nei pochi casi in cui mi è stata rivolta, magari anche solo come battuta, ho sempre posto questa domanda: “Secondo te come posso fare a manipolare la mente delle persone?” Di solito le persone danno risposte molto vaghe del tipo “Eh… che ne so io come fai? Tu sai i trucchi del tuo mestiere!” oppure “Magari mi ipnotizzi e mi fai fare quello che vuoi!”
Bene, sveliamo allora i trucchi del mestiere, sono convinta che informare, spiegare, comunicare il più possibile sulla professione dello psicologo sia molto importante per superare dubbi e timori.
Che modi può avere uno psicologo per manipolare la mente delle persone?
- Non può usare dei farmaci perché non è un medico e quindi non è abilitato a prescriverli e somministrarli.
- Per la mia specifica formazione non utilizzo l’ipnosi come tecnica terapeutica, ma so che serve una formazione specifica per poterla utilizzare e che non tutti gli psicoterapeuti la praticano. Alcune persone credono consista in una perdita di coscienza, dove il terapeuta può controllare la mente del paziente ma non è così. Si tratta di un’esperienza di trance in cui non può venire modificata la personalità, la volontà e i principi morali della persona che si sottopone a questa pratica.
- La parola, il colloquio, questo sì è il mezzo utilizzato dagli psicologi e psicoterapeuti per svolgere il proprio lavoro. Il colloquio in psicologia è uno strumento di conoscenza che utilizza la comunicazione allo scopo di raccogliere informazioni con fini di ricerca, di diagnosi o di presa in carico per un determinato trattamento. Il colloquio tra uno psicologo e colui che lo consulta può avvenire solo se c’è una motivazione e un interesse autentico da parte di entrambi. Se una persona ha paura di essere manipolata mentalmente da uno psicologo non credo che chieda un colloquio. Chi invece ha provato questa esperienza penso possa rivelare di cosa si tratta ed essere più convincente di me nel spiegarlo, visto che io sono di parte.
Insomma credo davvero che si tratti solo di suggestioni, fantasie o chiacchiere poco attinenti con la realtà. Le persone che si rivolgono agli psicologi e si sottopongono a delle sedute o a percorsi di psicoterapia sono in continuo aumento ma di solito per motivi di privacy non raccontano la loro esperienza. Io però le inviterei tutte a descrivere come si è svolto il loro colloquio, senza entrare nello specifico dei motivi che le hanno portate a chiedere un consulto. Sono convinta che i loro racconti sarebbero molto più chiarificatori e istruttivi delle mie parole. Perché quindi non provarci? Potete usare anche questo spazio per raccontarvi, ne sarei felice. Buona giornata a tutti.
7 MOTIVI PER CUI E’ DIFFICILE INDIVIDUARE UN PROBLEMA PSICOLOGICO NEL BAMBINO/ADOLESCENTE.
Caro lettore, se sei un genitore o un insegnante o qualcuno che comunque ha a che fare con bambini/adolescenti, forse ti sarà capitato di chiederti “Come si fa a capire se un bambino/adolescente ha un problema psicologico?” Ma come mai ti sei posto questa domanda? Vediamo insieme alcuni motivi che ostacolano la possibilità di comprendere se siamo in presenza di una psicopatologia del minore.
Facciamo un passo indietro. Se ti sei posto la domanda di cui sopra, magari è successo perché tuo figlio o un tuo alunno ha avuto un problema di questo tipo, magari è passato del tempo prima che tu te ne accorgessi, magari è successo a qualcuno che conosci e semplicemente ti domandi se tu saresti in grado di riconoscere i segni. Qualunque sia il motivo per cui ti sei fatto questa domanda, ciò che salta all’occhio è la difficoltà degli adulti ad individuare e comprendere i segni precursori di un disturbo mentale nell’età dello sviluppo. Spesso mi capita d’incontrare genitori del tutto inconsapevoli delle difficoltà del figlio che arrivano in terapia su segnalazione della scuola oppure dopo lungo tempo quando il problema è diventato grave e persistente. Questo non significa che siano persone insensibili o incapaci anzi, tanto è vero che spesso si sentono molto responsabili di non essersi attivati per tempo. E’ più probabile che si tratti di persone poco informate su certi argomenti e che non siano a conoscenza di alcuni aspetti che caratterizzano la psicopatologia dell’età evolutiva.
Con questo breve elenco spero di sollevare un po’ gli adulti da dubbi e timori sulla possibilità di accorgersi di un problema di tipo psicologico in un minore e di dare qualche dritta rispetto a ciò che si può osservare.
Cerchiamo di ricordare sempre che:
- Solo alcuni disturbi sono palesemente manifestati dai bambini, come ad esempio i disturbi del comportamento, mentre altri, che appartengono ad una sfera più intima, come ad esempio di disturbi d’ansia, sono più difficili da rilevare;
- Solo a partire da una certa età, di solito dai 6/7 anni in su, i bambini riescono a comunicare il proprio disagio psicologico perché solo a partire da quell’età hanno raggiunto una certa maturità cognitiva, emotiva e determinate competenze nella relazione e comunicazione;
- In età infantile/adolescenza segni e sintomi possono essere comuni a più patologie oppure una stessa patologia può avere segni e sintomi anche molto diversi;
- Durante lo sviluppo gli individui subiscono forti trasformazioni e non sempre sono sintomo di un problema o di una patologia ma si tratta semplicemente di cambiamenti transitori. Per questo motivo è importante tenere sempre presente il funzionamento generale e le capacità di adattamento del soggetto;
- Visto che la richiesta di aiuto ad uno psicologo/psicoterapeuta proviene dagli adulti di riferimento del minore, dipende in parte dalla loro capacità di interpretare i segni di sofferenza e questa capacità è condizionata dalle loro caratteristiche (ad esempio essere un genitore ansioso e iperprotettivo o meno) e dal tipo di rapporto col minore;
- Esistono pochi strumenti standardizzati per far diagnosi e spesso non sono di tipo descrittivo ma si basano sull’interpretazione del professionista;
- Ciò che è osservabile è il comportamento. E’ possibile osservare se ci sono dei cambiamenti nel comportamento e nelle abitudini dei bambini/adolescenti e cercare di capire a cosa possono essere dovuti. Non si parla di cambiamenti di qualche giorno ma di comportamenti insoliti che si protraggono a lungo nel tempo, con una certa frequenza e intensità. Se tali cambiamenti non possono essere ricondotti a motivi fisici come ad esempio una malattia o all’assunzione di farmaci, allora può essere utile sondare la presenza di un disagio di tipo psicologico.
Con questo vademecum, se dopo attenta osservazione, credete che un bambino/adolescente vicino a voi abbia un problema di tipo psicologico allora è importante rivolgersi nel più breve tempo possibile ad un professionista perché nell’età dello sviluppo prima si interviene più alte sono le probabilità di remissione dei sintomi e più breve è il tempo di guarigione.
Nel prossimo articolo parleremo proprio di questo, ossia della psicoterapia cognitivo comportamentale per l’età evolutiva. Se nel frattempo avete domande o commenti, postate pure. A presto.
Che differenze ci sono tra uno psicologo per l’adulto e uno per l’infanzia/adolescenza?
Quando un genitore mi contatta per un problema del figlio molto spesso mi vengano poste domande del tipo: “Dobbiamo venire entrambi i genitori? Cosa dobbiamo dire al bambino per convincerlo a venire? Alla fine della seduta mi dice che cosa ha mio figlio?….” Queste domande mi portano a credere che vi sia una scarsa conoscenza sugli psicologi/psicoterapeuti che si occupano di infanzia e adolescenza e, se posso, vorrei chiarire qualche dubbio e colmare qualche lacuna.
In questo articolo vorrei parlare dello psicologo/psicoterapeuta che si occupanello specifico di infanzia e adolescenza. Qualcuno potrebbe pensare che non ci sia alcuna differenza con lo psicologo che si occupa di persone adulte ma in realtà non è così. Vi faccio un solo esempio per farvi capire che differenza c’è tra un adulto che va dallo psicologo e un bambino/ragazzo. Un adulto sceglie di rivolgersi ad uno psicologo perché si rende conto di avere un problema e di dover chiedere aiuto perché da solo non ce la fa a risolverlo. Un bambino viene portato dallo psicologo dai suoi genitori perché credono che abbia un problema. L’adulto sa di aver un problema e vuole occuparsene, avendo più o meno idea di cosa andrà incontro. Il bambino non sempre è consapevole di avere un problema, non sempre è disponibile a risolverlo (a volte è solo costretto dai genitori) e spesso non ha idea di chi sia lo psicologo e cosa faccia. Potete immaginare quanto possa cambiare quindi l’approccio di uno psicologo a seconda di chi si trova davanti? Nel caso di un bambino/ragazzo è fondamentale spiegargli chi si è, cosa si fa, in che modo e per quanto tempo. E’ importante creare per lui un ambiente accogliente e sereno. E’ importante parlargli con chiarezza e semplicità e soprattutto è fondamentale prendersi tutto il tempo necessario per farsi conoscere e per costruire con lui una relazione di fiducia. Insomma il bambino/ragazzo te lo devi conquistare e non è semplice. Non sto dicendo che tutti gli ingredienti appena elencati non servano anche con gli adulti, anzi, solo che con i minori bisogna dedicarci più tempo ed attenzione proprio perché non si affidano a te volontariamente né lo fanno sin dal primo momento.
In testa all’articolo ho elencato alcune delle domande che mi vengono poste e credo di riuscire a rispondere spiegando brevemente quali sono solitamente i passaggi per la presa incarico di un minore da parte uno psicologo/psicoterapeuta.
- PRIMO COLLOQUIO = A questo colloquio dovrebbero partecipare entrambi i genitori a meno che non vi siano gravi impedimenti (un genitore deceduto o all’estero o privo di tutela legale…). Se i genitori sono separati o divorziati devono trovare il modo di essere concordi e presenti entrambi. Uno psicologo non può vedere o occuparsi di un minore senza il consenso di entrambi i genitori. In questo primo colloquio si raccolgono informazioni sul bambino/ragazzo e sul problema che manifesta. Attenzione!!! Se si tratta di un adolescente, deve essere presente e coinvolto sin dalla prima seduta. Un adolescente sta sviluppando la sua identità, il suo pensiero e comincia a fare le sue scelte, quindi deve essere messo a parte di qualsiasi scelta lo riguardi o ne risentirà l’alleanza con lo psicologo e la motivazione a partecipare alle sedute.
- COLLOQUI DI VALUTAZIONE = Possono essere da 2 a più sedute, dipende dalla metodologia dello psicologo e dalla gravità del problema presentato. Per esempio io mi riservo 4 o 5 sedute per inquadrare bene il caso. Queste sedute si basano principalmente sul colloquio psicologico ma possono anche essere somministrati dei test. Lo scopo di queste sedute è la valutazione diagnostica ossia definire se si è in presenza o meno di un disturbo mentale e quali sono gli elementi che lo caratterizzano. Attenzione!!! Con bambini troppo piccoli non è possibile condurre un colloquio perché non hanno ancora sviluppato adeguate competenze cognitive, emotive e linguistiche. La mia regole è di non fare colloqui a bambini sotto i 7-8 anni. Nel caso di bambini sotto questa età può tornare molto utile l’osservazione del bambino nel suo ambiente famigliare (casa o scuola).
- RESTITUZIONE = Si tratta di un colloquio in cui lo psicologo/psicoterapeuta da un quadro del problema o disturbo rilevato e indica quale strada sia più indicata seguire per risolverlo. Attenzione!!! Non significa che lo psicologo abbia la soluzione al problema e la somministri come una pillola. Uno psicologo/psicoterapeuta valido non dirà mai ad un genitore o a un bambino/ragazzo cosa devono fare ma li accompagnerà nel trovare una soluzione col supporto della sua conoscenza.
L’ultimo passaggio riguarda il percorso terapeutico ma di questa parte vi parlerò in un prossimo articolo. Per il momento spero di aver fugato qualche dubbio. Resto a disposizione per qualsiasi domanda o riflessione. A presto.
PSICOTERAPIA COGNITIVO COMPORTAMENTALE CON LA COPPIA
“Ciò che conta in un matrimonio felice non è tanto quanto si è compatibili, ma come ci si relaziona con l’incompatibilità” (G. Levinger)
Uno degli obiettivi fondamentali di una relazione di coppia dovrebbe essere quello di favorire il benessere e la felicità delle persone che ne fanno parte.
Nelle favole i personaggi della coppia, il principe e la principessa, si incontrano, si sposano e vivono “per sempre” felici e contenti. Nella vita non accade proprio così.
La coppia, indipendentemente dall’orientamento sessuale, durante il suo percorso di crescita può trovarsi a dover gestire momenti di instabilità e difficoltà che sono spesso fonte di grande disagio.
La relazione di coppia è un legame dinamico, che tende cioè a mutare ed evolvere nel tempo, così come cambiano i partner che la compongono, in questa evoluzione spesso gli equilibri non restano funzionali. Se inizialmente prevale la condizione dell’innamoramento, con l’approfondimento della conoscenza reciproca la relazione diventa più stabile e solida, le emozioni travolgenti dell’inizio divengono più sfumate e si fa strada una valutazione più realistica ed oggettiva del partner, si iniziano a vederne i difetti e le fragilità. Può capitare che i partner sentano il legame come insoddisfacente e limitante, non basato su una comprensione reciproca, con richieste non comprensibili o condivisibili. Capita che ci si ritrovi in situazioni di “blocco” in cui i partner si accontentano di restare in una condizione insoddisfacente senza riuscire a trovare strategie per riorganizzare diversamente gli equilibri. La comunicazione e l’interazione possono diventare frustranti e disfunzionali.
La delusione delle aspettative può far sorgere dei dubbi sulla possibilità di continuare un rapporto che è diverso da quello che i partner avevano immaginato.
Frequentemente è proprio in questa fase che si richiede l’intervento di uno psicoterapeuta, per intraprendere un percorso di psicoterapia di coppia che aiuti a salvaguardare la relazione.
L’aiuto dello psicoterapeuta può rivelarsi determinante per evidenziare con maggiore chiarezza i desideri ed i bisogni della coppia. Può essere un prezioso sostegno nella ricerca di strategie che possono migliorare la comunicazione tra i partner e facilitare il riconoscimento delle risorse individuali e dell’equilibrio necessario affinché possano concertarsi nella coppia, rendendola fonte di esperienze emotive e relazionali piacevoli.
La psicoterapia di coppia non è utile soltanto alle coppie già in una fase critica, bensì può essere desiderabile anche per quelle coppie con una buona relazione, allo scopo di migliorare la comunicazione, prevenire futuri conflitti, conservare una relazione più armoniosa, così come per rafforzare il proprio legame e conoscersi meglio.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale di coppia è un approccio che si focalizza sulle problematiche portate dalla coppia, finalizzato a migliorare il funzionamento di due persone nel contesto della loro relazione.
È una psicoterapia collaborativa: la coppia e il terapeuta cooperano attivamente per raggiungere gli scopi concordati ed esplorano insieme la soluzione più adatta per entrambi i partner.
L’intervento psicoterapeutico è focalizzato sul presente, occupandosi in primo luogo del qui ed ora, tuttavia durante la terapia si analizza anche la storia di vita e di relazione della coppia per comprendere come si sono sviluppati i problemi presentati.
Nel corso del trattamento il terapeuta assegna ai partner dei compiti a casa con lo scopo di incrementare la consapevolezza di sé, dell’altro, della relazione e di favorire così il cambiamento.
Il percorso terapeutico si conclude quando le problematiche presenti nella relazione hanno trovato un equilibrio appagante per entrambi i partner.