L’altro ieri è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Attuativo per il Bonus Psicologo. Leggi il decreto.https://bit.ly/3I0TPq4
Secondo il decreto sarà compito dell’INPS introdurre la piattaforma per raccogliere le domande dei cittadini e informarli sulla procedura per ottenere il Bonus. Si prevede che il tutto sarà predisposto orientativamente per Settembre.
La graduatoria seguirà il criterio di ISEE del cittadino, e sarà presentabile solo da soggetti con un ISEE fino a 50.000 euro, e fino ad esaurimento dei fondi.
Come fatto finora, il Centro di Psicoterapia Scaligero si incaricherà di aggiornare gli utenti per tempo rispetto alla possibilità di richiedere e ottenere il Bonus.
oggi vi vorrei parlare delle terapie di terza generazione e spiegare quali sono, in cosa consistono, a cosa servono e come vengono utilizzate.
DEFINIZIONE
Le terapie di terza generazione sono nuove forme di psicoterapia che si evolvono dalla terapia cognitiva standard. Alcune di queste sono: l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT, Hayes, 1999), la Dialectical Behavior Therapy (DBT; Linehan, 1993), la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT; Segal, Williams, & Teasdale, 2001), la Metagognitive Therapy (MCT; Wells, 2000), la Compassion Focused Therapy (CFT; Gilbert 2007a, 2010).
SCOPO
Lo scopo di queste terapie è capire gli schemi di pensiero che mantengono attivate quelle emozioni che generano sofferenza con conseguenti sintomi e disagio psicologico. In sintesi, piuttosto che focalizzarsi sulla riduzione dei sintomi, questi interventi mirano a modificare i processi che mantengono gli stati psicologici presentati e la relazione dell’individuo con questi. L’obiettivo finale è aumentare la flessibilità psicologica, per diventare più consapevoli e aperti verso le nuove esperienze.
METODOLOGIA
Per costruire alternative mentali e comportamentali più ampie, flessibili ed efficaci le terapie di terza generazione si basano sull’uso di esercizi esperienziali o attentivi che favoriscano l’accettazione, e l’apertura all’esperienza. Le terapie di generazione sono più contestuali ed esperienziali rispetto alla terapia cognitiva standard, quindi sono meno teoriche. Le strategie di elezione per operare il cambiamento e implementare il benessere psicologico sono l’accettazione, lo spostamento dell’attenzione e la pratica della mindfulness.
EVIDENCE BASED MEDICINS
Tutte le terapie di terza generazione sono supportate da studi scientifici che ne attestano l’efficacia. Esistono numerosi studi di letteratura dai quali è possibile inferire i numerosi benefici che derivano dalla pratica di queste terapie.
Spero di essere stata abbastanza chiara ed esaustiva. In futuro vi parlerò più approfonditamente di ognuna di queste terapie. Nel frattempo RESTATE CONNESSI!
questo sabato pomeriggio condurrò un incontro a Verona con ragazzi tra i 17 e i 18 anni sul tema dell’ansia.
Gli argomenti che verranno trattati sono:
– le emozioni
– paura/ansia e le sue caratteristiche
– quando l’ansia diventa un problema
– che fare in caso di problemi o disturbi d’ansia
No panic non vuole essere una lezione frontale didattica ma un approfondimento del tema basato sull’interazione, sullo scambio di opinioni e conoscenze e su attività esperenziali.
Chiunque fosse interessato a proporre ed organizzare incontri divulgativi su questo o altri temi di psicologia può contattarci.
Nel mio prossimo post vi racconterò eventuali aspetti salienti che energeranno dall’incontro con i ragazzi. Restate connessi!
Ciao a tutti, da giorni si è diffusa la notizia che è stato approvato il bonus psicologico.
Il bonus arriverà a 600 euro all’anno e potrebbe riguardare circa 18mila persone: sarà parametrato in base all’Isee, con il tetto massimo fissato a 50mila euro puntando a favorire i redditi più bassi. In tutto vengono stanziati ulteriori 20 milioni nel 2022, di cui metà per finanziare il bonus e l’altra metà per il reclutamento di professionisti per combattere il disagio mentale legato alle conseguenze del Covid.
Certo non è la soluzione ottimale, certo si potrebbe fare di più e meglio vista la diffusione di disagio psicologico a seguito della pandemia, ma è comunque un piccolo e temporaneo passo.
Di conseguenza invito tutti coloro che avessero necessità e si trovassero in condizioni economiche tali da non poter sostenere la spesa di un percorso di sostegno psicologico o terapeutico ad informarsi su come poter accedere a questa opportunità.
Nel malaugurato caso qualcuno non riuscisse ad accedere a tali fondi, ricordo comunque che esiste un’alternativa: la psicoterapia solidale. Se foste interessati a capire di cosa si tratta vi invito a contattarci per avere informazioni.
Non arrendetevi a cercare un aiuto e mi raccomando restate connessi!
Ciao a tutti, continuo la rassegna di post di riflessione e confronto tra la scuola di fine ‘800 e quella di oggi, prendendo spunto dal libro “Cuore” di E. De Amicis. Qualche articolo fa avevo anticipato che avrei parlato delle life skills, di come se ne parla nel libro citato e di come possono essere apprese nella scuola di oggi.
Cosa sono le life skills? Con questo termine si intende un insieme di abilità o competenze che si apprendono durante l’infanzia/adolescenza e che sono necessarie per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana.
Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) le life skills stimolano l’assunzione di responsabilità per la propria salute e potenziano le competenze psico-sociali e per tale motivo sono utili a prevenire problemi di tipo sanitario e comportamenti negativi o a rischio.
Le life skills possono essere innumerevoli, tuttavia l’OMS ha individuato un nucleo fondamentale di skills per la promozione del benessere di bambini e adolescenti: decision making, problem solving, creatività, senso critico, comunicazione efficace, abilità relazionali, autocoscienza, empatia, gestione delle emozioni, gestione dello stress.
Tali abilità possono essere insegnate attraverso l’apprendimento e la pratica. Nel libro Cuore è di nuovo il racconto il veicolo fondamentale per trasmettere tali competenze. I racconti mensili di cui è costellato il libro sembrano avere proprio questa funzione. Prendiamo ad esempio il racconto “Dagli Appennini alle Ande”: vi accorgerete che in questo racconto il protagonista si trova a prendere delle decisioni importanti, a risolvere diversi problemi, a relazionarsi e comunicare con persone diverse e straniere, a gestire eventi stressanti nonché le sue emozioni e spesso riesce ad entrare in empatia anche con gli estranei. Insomma in un racconto di poche pagine si trovano riferimenti alla maggior parte delle life skills e il protagonista del racconto diventa un modello apprendimento e utilizzo delle stesse.
Ma nella scuola di oggi vengono apprese le life skills e se sì come?
Diversi studi evidenziano che i giovani non siano sufficientemente equipaggiati delle skills necessarie per affrontare le richieste e gli stress che incontrano nel loro percorso di crescita e i meccanismi tradizionali attraverso cui si apprendevano tali competenze non funzionino più adeguatamente di fronte alla complessità creata dai profondi cambiamenti sociali e culturali come ad esempio l’avvento dell’era digitale e l’integrazione di etnie diverse.
Una possibile risposta è l’inserimento di specifici programmi di life skills education all’interno del percorso scolastico condotti da personale specializzato come gli psicologi.
Queste esperienze esistono e quando vengono applicate danno prove di utilità e efficacia, io stessa ho avuto la possibilità di condurre tali programmi in alcuni istituti scolastici con grande soddisfazione di alunni, insegnanti e genitori.
Fin qui tutto bene allora, penserete. E invece purtroppo devo deludervi perché se è vero che questi programmi ci sono, è anche vero che avrebbero bisogno di essere integrati nel piano scolastico di ogni grado di scuola, che dovrebbero avere una continuità temporale, che dovrebbero essere stanziati fondi per garantire questa continuità e che dovrebbero essere gestiti da personale competente che si integra e collabora quotidianamente con il resto del personale scolastico.
Purtroppo le cose non stanno così. Ancora questi progetti sono eventi sporadici e frammentari. Non fanno parte del piano scolastico perché si dà ancora troppo poco spazio alla prevenzione e alla costruzione di interventi a lungo termine di carattere generale. Non vengono stanziati fondi sufficienti per interventi di così ampio respiro anche se professionisti competenti sarebbero disponibili. Non c’è ancora sufficiente interesse per questi temi, i problemi che ne derivano non sono ancora largamente sentiti oppure se anche se si manifestano, si tende a rispondere solo con interventi di emergenza, mirati e a breve termine.
Insomma si tende a tamponare i problemi piuttosto che costruire dei percorsi di crescita per bambini e ragazzi graduali, continuativi ed efficaci. È un vero peccato. Nel mio piccolo cerco di spiegare e condividere che cosa significa davvero prevenzione ma mi rendo conto che non è sufficiente. Serve che una visione più ampia e un modo diverso di affrontare i problemi sia condiviso da tutti. Allora proviamo a condividere questo pensiero e nel frattempo………..restiamo connessi!
Ciao a tutti, continuo la rassegna di post di riflessione e confronto tra la scuola di fine ‘800 e quella di oggi, prendendo spunto dal libro “Cuore” di E. De Amicis. Nel mio precedente articolo avevo promesso che avremmo parlato di modeling.
Cosa si intende col termine modeling? Albert Bandura, noto psicologo, evidenziò come l’apprendimento potesse avvenire attraverso esperienze indirette, sviluppate attraverso l’osservazione di altre persone. Bandura ha adoperato il termine modeling (imitazione) per identificare un processo di apprendimento che si attiva quando il comportamento di un individuo che osserva si modifica in funzione del comportamento di un altro individuo che ha la funzione di modello. Quindi il comportamento è il risultato di un processo di acquisizione delle informazioni provenienti da altri individui.
Nel libro Cuore quasi in ogni paragrafo un personaggio funge da modello di comportamento per gli altri personaggi presenti nella storia, partendo dagli adulti, come i maestri e i genitori, fino ad alcuni bambini che compiono qualche azione speciale. Inoltre ci sono una serie di racconti, dal “piccolo scrivano fiorentino” alla “vedetta lombarda” che hanno proprio la funzione di offrire dei modelli educativi da imitare.
In questo libro, il racconto delle storie e delle vicende di personaggi esemplari è lo strumento principe per educare i nuovi italiani. E. De Amicis scrive il libro Cuore per divulgare valori e modelli e questo libro viene adottato nella didattica scolastica per decenni con l’intento di promuovere sia negli adulti, che dovevano fare da esempio, che nei bambini e ragazzi che dovevano apprendere, stili di comportamento civili e adeguati ai vari contesti di vita.
Nella mia esperienza di scolara le cose sono andate proprio così ma il modeling non si limitava al contesto scolastico. Non solo genitori e insegnati erano adulti autorizzati ad educarmi ma ogni adulto che incontravo era un potenziale modello di comportamento da cui apprendere, dai vari membri della famiglia, agli allenatori sportivi, ai genitori dei miei amici, ai vicini di casa. Insomma la società per intero, esclusi ovviamente gli esempi diseducativi, assumeva su di sé il compito di educare le nuove generazioni.
Oggi è ancora così? Noi adulti ci sentiamo investiti di questo compito o abbiamo abdicato, delegato o limitato tale ruolo? Me lo domando perché nella mia esperienza professionale mi capita di imbattermi in casi diversi: persone che sostengono che dovrebbe essere solo la scuola deputata all’educazione, persone che sostengono che dovrebbe essere un compito esclusivo dei genitori, persone che delegano comunque ad altri l’educazione delle nuove generazioni. Sto parlando di casi ovviamente, non in generale, ma non vorrei che questi casi fossero il segnale di un problema più vasto ecco perché pongo queste domande. E se la risposta fosse che non è più l’intera società a sentirsi investita del ruolo educativo ma solo alcune persone, siamo sicuri che i giovani incontrino nel loro percorso di crescita sufficienti modelli di comportamento? Chi si occupa insomma di insegnare loro le life skills?
Le life skills, un altro interessante argomento di cui vi parlerò nel mio prossimo articolo. Per ora di lanciato una bella “patata bollente”, un quesito non facile a cui rispondere ma a me basta che ci si rifletta almeno un poco. Il mio intento come sempre è di introdurre degli argomenti di psicologia e lasciare a chi legge qualche spunto di riflessione senza la pretesa di avere la soluzione in tasca. Meditate quindi gente, meditate e se lo desiderate esprimete le vostre opinioni. Al prossimo post e restate connessi!
Ciao a tutti, nell’articolo della scorsa settimana, prendendo spunto da una lettura del libro “Cuore”, avevo messo a confronto alcuni aspetti della scuola di oggi con quella di allora. Nello specifico era emerso che l’istinto di accudimento e protezione delle mamme di fine ‘800 non è molto diverso da quello delle mamme di oggi. A seguito di questa constatazione era però sorta una domanda con cui ci eravamo lasciati: “se i genitori di allora erano apprensivi e protettivi come quelli di oggi perché ultimamente non si fa che discutere sul fatto che si intromettono troppo nella vita scolastica dei loro figli? Vedi ad esempio le chat di classe o le ingerenze sulla didattica o i metodi di insegnamento! Oltre un secolo fa accadeva la stessa cosa oppure al giorno d’oggi questa situazione si è allargata e diventata più pervasiva?”
È difficile fare un confronto tra scuola di fine ‘800 e scuola del XXI° secolo perché i fattori da analizzare sono molteplici ma sempre nel libro “Cuore” ho letto un altro passo che mi ha fatto riflettere e che forse potrebbe avvicinarci ad una risposta. Ve lo riporto di seguito.
“Rispetta, ama il tuo maestro, figliuolo. Amalo perché tuo padre lo ama e lo rispetta; perché egli consacra la vita al bene di tanti ragazzi che lo dimenticheranno; amalo perché ti apre e t’illumina l’intelligenza e ti educa l’animo………Ama il tuo maestro perché appartiene a quella grande famiglia di cinquantamila insegnanti elementari……che preparano al nostro paese un popolo migliore del presente”.
Ciò che mi ha colpito in particolare di questo passo è la frase: “amalo perché tuo padre lo ama e lo rispetta”. Credo che sentimenti come amore e rispetto siano la base per costruire un rapporto di stima e fiducia con un’altra persona e se si riesce a far questo allora è possibile affidarsi con sicurezza nelle mani dell’altro. Rispetto, amore, stima sono quindi ingredienti fondamentali per costruire un rapporto di fiducia, un’intesa e uno scopo comune tra genitori e insegnanti. Credo siano le condizioni necessarie per permettere ai genitori di affidare l’educazione dei loro figli ai maestri che incontrano a scuola.
Nel passo che ho citato, il padre che parla, crede fermamente e si fida dei maestri e dell’istituzione scuola. Forse sono proprio tutti questi sentimenti (rispetto, stima, amore, fiducia) che fanno sì che un genitore non si intrometta, non interferisca o non invada troppo l’area di competenza di un insegnante ma lasci fare in piena sicurezza, fidandosi dell’operato di chi è più esperto.
Allora a questo punto pongo un’altra domanda: “i genitori di oggi provano gli stessi sentimenti di cui si parla nel passo che citato? I genitori di oggi si fidano ancora dei maestri e dell’istituzione scolastica?”
Devo ammettere che, grazie alla possibilità che ho di confrontarmi con tutti gli interlocutori dell’universo scuola, a volte ho l’impressione che questi sentimenti vengano un po’ a mancare, che il patto educativo tra scuola e famiglia si perda un poco. Quindi la domanda la giro a voi: “cari genitori non vi fidate più degli insegnanti? E se sì, perché? E che ricadute ha questa mancanza di fiducia sulla vita scolastica di vostro figlio?”
Sono tante domande che lascio aperte, me ne rendo conto ma sono domande importanti su cui è bene riflettere a lungo per trovare delle risposte. Forse condividendo le varie opinioni qualche risposta si può trovare perciò vi invito a scrivere, commentare, condividere i vostri pensieri e nel frattempo……restate connessi!
dopo la pausa delle festività natalizie torno a scrivere qualche mia riflessione su questa pagina.
Qualche tempo fa, a seguito della partecipazione ad una conferenza sul valore educativo del libro “Cuore”, ho pensato di rileggerlo, dopo tanti anni, con uno sguardo diverso. Infatti sto cercando di fare un confronto tra la scuola di allora e quella di oggi.
È ovvio che dopo oltre un secolo la scuola sia cambiata ma vorrei scoprire se qualche punto in comune è rimasto, se il cambiamento è stato sempre in positivo e se qualcosa che andato perduto, forse sarebbe meglio recuperarlo.
A proposito di qualcosa che non è cambiato, nello scorrere le pagine ho trovato questa frase: “Povere maestre! E ancora le mamme a lagnarsi: come va, signorina, che il mio bambino ha perso la penna? Com’è che il mio non impara niente? Perché non dà la menzione al mio che sa tanto?…”
Che sorpresa, non me l’aspettavo! Anche le mamme di fine ‘800 erano apprensive e protettive come quelle di oggi. Pensavo invece si comportassero diversamente, che avessero una sorta di sacro timore reverenziale verso le istituzioni per cui evitassero di fare richieste o addirittura lamentele agli insegnanti. E invece, a quanto pare, “tutto il mondo è paese” e le mamme sono sempre mamme in qualunque posto e in qualunque epoca. L’istinto di protezione e accudimento verso i propri figli è sempre lo stesso.
Ma se questo aspetto non è cambiato nel corso del tempo, allora perché oggi si fa un gran parlare del fatto che i genitori si intromettono troppo nella vita scolastica dei loro figli?
Spesso si sente parlare delle “terribili chat di classe” dove i genitori discutono animatamente contro questa o quella decisione dell’insegnante o della scuola, di consigli di classe o di istituto che diventano delle sorte di trincee, di difesa ad oltranza del singolo alunno anche di fronte alle evidenze. Insomma sembra che in molti casi genitori e insegnanti si trovino su fronti opposti. Questo succede come accadeva oltre un secolo fa o la situazione è peggiorata, è diventata più generalizzata e pervasiva?
Voi che leggete cosa ne pensate? C’è qualche genitore tra voi che vuole esprimere la sua opinione?
Io ho cercato una risposta in altre pagine del libro e forse l’ho trovata ma ve ne parlerò nel mio prossimo post. Intanto ci rifletterei insieme a voi e come sempre vi raccomando….restate connessi!
prendendo spunto da una conferenza sulla psicologia scolastica di qualche mese fa, oggi vorrei parlarvi dell’importanza che ha la relazione che si instaura tra un insegnante e un alunno per l’apprendimento.
Numerosi studi attestano che la costruzione di una buona relazione interpersonale tra insegnante e alunno ha delle ricadute positive sull’apprendimento perché migliorano aspetti come l’attenzione, la comprensione, l’interesse e la motivazione allo studio e così via. La costruzione di una buona relazione insegnante-alunno dovrebbe essere quindi la base di partenza su cui impostare la didattica.
Purtroppo non è sempre facile instaurare una buona relazione interpersonale perché entrano in gioco diversi fattori individuali, psicologici, ambientali e culturali che possono porsi come ostacoli a questo obiettivo.
In questo articolo vorrei focalizzare l’attenzione sull’insegnante e su come può agire per creare e mantenere una buona relazione con i suoi alunni.
Non è un compito facile perché l’insegnante si trova immerso in un contesto plurale e non in un rapporto diadico che pure dovrebbe cercare. Inoltre può essere trascinato dal susseguirsi degli eventi e osservare ciò che accade dal suo unico punto di vista, per citare solo alcune difficoltà.
Per ovviare a questi ostacoli uno psicologo scolastico potrebbe offrire la guida e il sostegno necessari per intraprendere la strada giusta, per migliorare aspetti come la reciprocità, la sensibilità, la sincronia da ambe le parti.
Gli interventi che potrebbero essere messi in atto sono molteplici:
Si potrebbe lavorare sulla consapevolezza di sé in termini di emozioni, pensieri e comportamenti che si hanno nei confronti di un alunno. Le emozioni e i sentimenti che si provano verso un alunno hanno un impatto fondamentale sul modo di relazionarsi nei suoi confronti. Conoscere ciò che si prova permette di guidare il proprio comportamento;
Si potrebbe lavorare sulla consapevolezza del proprio comportamento verbale e non verbale per essere sicuri di non inviare messaggi contradditori o negativi;
Si potrebbe lavorare sullo sviluppare una visione dell’alunno basata su episodi specifici piuttosto che su un’idea generale ed avere un occhio più flessibile e aperto rispetto a tutte le caratteristiche dell’alunno stesso, senza focalizzarsi troppo solo su alcuni aspetti;
Si potrebbe lavorare per migliorare il perspective taking, ovvero la capacità di mettersi nei panni degli altri e sulla teoria della mente, ovvero la capacità di leggere la mente dell’altro;
Si potrebbe lavorare sullo sviluppare o migliorare la mentalizzazione dell’insegnante, ovvero la capacità di interpretare i comportamenti propri e altrui.
Come potete capire si potrebbe fare molto e i risultati potrebbero essere molto positivi. Per questo motivo continuo ad auspicare che lo psicologo possa diventare un giorno un elemento imprescindibile del sistema scolastico. Spero che condividiate la mia opinione e che sosteniate con me questa causa.
Per ora mi fermo qui e vi rimando al prossimo articolo. Restate connessi!